Cibo e vino, ecco i motivi di un divorzio consensuale

Domenica 24 Maggio 2015, 14:50
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Quando l’Italia era niente altro che un sistema di trattorie, il vino costava quanto un piatto, o anche meno. Cibo e vino compensavano a vicenda i difetti maturati dalla vinificazione empirica dei contadini e dall’assenza di tecniche di cottura moderne. Poi arrivò la trattoria Peppino e Mirella Cantarelli a Samboseto dove i grandi e costosi francesi si affacciarono sui piatti classici della cucina padana. Il vero boom del vino al ristorante è comunque negli anni ’90, che è anche il decennio della separazione consensuale: i rossi diventano sempre più densi, alcolici e marmellatosi sul modello imposto dal mercato anglosassone, la cucina invece si alleggerisce con l’ingresso delle verdure, del pesce e soprattutto dell’olio d’oliva. Nonostante questo, le cantine dei ristoranti si riempirono di grandi marchi e pochi, come Antonio Santini, Alfonso Iaccarino, hanno saputo gestire con maestria questo enorme del vino in Italia. Nacque la leggenda che per avere le stelle Michelin bisognava inzeppare la carta di Bordeaux e di Borgogna, ma era solo la coda di una promozione che in Francia è sempre andata di pari passi: la propria cucina con i propri vini. L’Italia solo adesso si affaccia a questa soglia culturale e gastronomica grazie a quella che Vizzari definisce «Nuova cucina Italiana» che ha in Bottura, Crippa e Alajmo, la massima espressione di una pattuglia molto nutrita di cuochi sulla cinquantina che hanno cambiato la ristorazione moderna di un paese ricco ma spesso troppo chiuso alle novità (basti pensare al successo della campagna di Striscia contro la cucina molecolare del 2009, impensabile in Francia o Spagna). La crisi ha resettato molti luoghi comuni e ha cambiato il modo di consumare il vino. Per esempio Niko Romito ha raccontato del lavoro al bicchiere, mentre per Oldani il bicchiere va sorseggiato a prescindere dai piatti non più in abbinamento come insegnano le diverse scuole dei sommelier. Il motivo? Semplice: le tecniche hanno consentito di creare ricette compiute, che non hanno bisogno di essere completate dal vino come avviene per quelle tradizionali, in genere sbilanciate verso la grassezza e la succulenza, bisognose di tannini e acidità.
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