Il modello Vannulo: meglio una gallina domani

Mercoledì 7 Gennaio 2015, 18:21
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Un binomio ancestrale, quello di Tonino Palmieri e le bufale. Figlio di allevatori, aveva venduto latte sino a quando nel 1988 apre il caseificio Vannulo. In un settore dove tutti corrono lui è andato più veloce di tutti gli altri restando fermo. Un modello alternativo di sviluppo consacrato dal pezzo di Lidia Ravera su Micromega di qualche anno fa, quando anche la sinistra ufficiale si accorse per la prima volta dell’importanza dell’agroalimentare e della produzione del cibo. Un tema snobbato da una cultura che, come tutte le altre del ’900, si era sviluppata per gestire i conflitti di classe maturati nei grandi agglomerati urbani. Adesso il «Modello Vannulo» è sinonimo di «chilometro zero»: tutta la produzione viene infatti venduta nell’unico punto vendita aziendale e non c’è stata offerta, per quanto allettante, che lo ha convinto a derogare da questa impostazione aziendale. Ma non si tratta di solo di questo, altrimenti non sarebbe l’unico. Il fatto che è Tonino Palmieri Palmieri, che oggi gestisce l’azienda con i tre figli laureati Teresa, ingegnere, Nicola, agronomo, Annalisa, economista, è andato molto più avanti. Nel senso di differenziare l’offerta creando un ciclo continuo con la bufala. Nel 2000 aprì la yogurteria dove è possibile fermarsi anche solo per un caffè mangiando dolci da colazione e brioches di alta fattura insieme a conserve fatte in casa. Dopo qualche tempo, alle spalle della rivendita e del bar, ha avviato un laboratorio di lavorazione della pelle di bufala per cinture, borse e oggettistica molto fine ed elegante. Ma non è finita: sta per partire la produzione di cioccolata con il latte di bufala e un punto ristoro nel quale si fara una cucina di tradizione ma ben ripulita e meno greve. I locali sono terminati, i macchinari hanno già consentito di fare le prime prove. Cosa è, allora, il modello Vannulo? Molto semplice, invece di pensare a una mozzarella che duri il più possibile cercare di far venire quanti più clienti sul posto a consumarla. Certo, l’ambiente pulito, gli spazi del Cilento, la suggestione dei templi di Paestum, il mare pescoso di spiaggia e di scoglio, favoriscono l’impresa infatti sul territorio sono sorti e stanno sorgendo molti altri riferimenti di alta gastronomia, dall’olio ai fichi bianchi, dal vino ai salumi. Una visione opposta a quella industriale che vuole esportare sempre di più e ampliare il mercato mondiale. Strategia sicuramente legittima anche questa, ma che purtroppo ha scontato spesso la rapacità di chi cercava solo il business fine a se stesso e a ogni costo, anche sorvolando sulle misure di sicurezza per chi lavora in qualche caso o mischiando senza dichiararlo il latte di bufala con quello vaccino per produrre di più. Invece la linea aziendale di Vannulo non ha altro rischio se non la stagionalità perché l’offerta diventa più alta e se ce ne fossero anche una quindicina impostati in questo modo il problema delle eccedenze di latte invernale forse non esisterebbe. Un esempio per il Sud dove si è sempre pensato a produrre per chi poi al Nord doveva commercializzare. Invece è qui la nuova frontiera dell’enogastronomia di qualità, quella attenta alla compatibilità ambientale. Insomma, invece di allargare la quantità, migliorare la qualità. Nel primo caso la concorrenza è mondiale nel mercato globale, nel secondo è difficile essere superati perché, come ben sanno i francesi, i territorio non sono replicabili perché unici. Ma per operare in questa direzione è necessario avere fiducia, impostare il proprio lavoro garantendo anzitutto chi compra che poi diventa il tuo migliore agente di commercio. E questo Tonino Palmieri lo sa molto bene perché sono in tanti a dire «O è Vannulo o non è». La fiducia, e non la furbizia, è il lubrificante di ogni attività economica, soprattutto quando parliamo di cibo che dobbiamo consumare per noi stessi e per i nostri figli.
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