Le famiglie hanno perso l'arte di conservare il cibo

Domenica 26 Luglio 2015, 21:15
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Estate, tempo di frutta e verdure fresche, ma anche di pensare all’inverno, e dunque di conserve. Non è un tweet, una di quelle frasi che cercano di catturare l’attenzione mediatica del 2.0 e magari un rimbalzo sui media tradizionali. In realtà è la didascalia di una foto ormai sfuocata per almeno due motivi. Il primo è che con la globalizzazione possiamo, e vogliamo, avere tutto e sempre. Il secondo è che l’arte del conservare, che impiegava tanto tempo prima nelle famiglie rurali, ormai è quasi tutta appannaggio della industria e di alcuni bravi artigiani. In poco più di mezzo secolo sono cambiate più cose che negli ultimi tremila anni. Si può conservare un cibo se lo si conosce, ma da tempo il nostro rapporto con quello che mangiamo è quasi completamente dissolto, resta nelle menti e nelle mani di pochi fissati, sacerdoti di culto isolati dal contesto, un po’ come nei monasteri medioevali si custodivano i manoscritti delle antiche civiltà mediterranee. Un colpo decisivo è venuto in Italia all’inizio degli anni ’60 dal frigorifero nelle case, forse l’oggetto più omologante inventato dall’uomo, sicuramente utile e salvifico, ma anche pialla dell’arguzia per difendere i cibi dall’ossigeno, l’elemento che regala e toglie la vita. Così la filiera del freddo ci ha datto tante opportunità, almeno quanto quelle che ci ha tolte. Il secondo aspetto è di natura psicologica: ormai da oltre mezzo secolo viviamo sapendo che qualsiasi cosa di cui abbiamo bisogno e desiderio è sotto casa nostra. Perché preoccuparsi di conservare? Ed è così, parafrasando Marx, che il cibo è diventato la merce per eccellenza, come le armi da guerra: il valore di scambio è sovrapponibile al valore d’uso. Ossia, la stessa cosa non può essere utilizzata due volte, il sogno di ogni produttore di merci. Il passato, a differenza di quel che scrive Musil, non torna, ma non per questo dobbiamo rassegnarci ad un futuro disegnato da altri. Sarebbe bello impiegare il nostro tempo riprendendo l’arte della conserva o, almeno, cerca di capire chi lavora davvero bene in questo settore senza affidarsi esclusivamente alla chimica, non importa se industriale o piccolo artigiano. La Campania è da sempre leader in questo campo, qui si è concentrata gran parte dell’industria conserviera italiana e negli ultimi anni sono spuntati moltissimi artigiani del gusto di alto, altissimo livello: pomodori, olive, verdura, frutta, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. I valori nutritivi, ma soprattutto il gusto, delle buone cose è il presupposto di un equilibrio mentale che solo il cibo fatto bene ci può regalare. Pensiamolo sempre quando allunghiamo le mani sugli scaffali scegliendo solo in base al prezzo, i soldi risparmiati in quel momento rischiamo poi di spenderli in medicine.
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