Rivive Antonio Amato grazie a un imprenditore che sogna

Martedì 28 Aprile 2015, 20:45
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Come la Centrale del Latte e la Vitologatti, Antonio Amato è uno dei marchi identitari di Salerno, ossia uno di quei prodotti che ciascuno sente propri perché ci hanno accompagnato sin dalla nascita e sono stati protagonisti tanto dei nostri piccoli gesti quotidiani che di avvenimenti importanti. Adesso questo marchio, rinnovato con colori luminosi che richiamano l’azzurro, il verde e il panorama abbagliante salernitano, torna a negli scaffali delle salumerie e dei supermercati con rinnovata energia. Una iniezione di fiducia in netta controtendenza rispetto al clima generale del Paese, frutto di due fattori. Il primo è la visione onirica, tipica dei veri grandi imprenditori, di Giuseppe Di Martino. Lui lo trovate su Facebook, Twitter, Instragram, sempre nella mischia, senza filtri. Grande appassionato di cucina, frequentatore di ristoranti stellati di mezzo Mondo, ha fatto della tradizione familiare, siamo alla terza generazione, un punto di forza per proiettarsi nel futuro, ossia sul mercato globale dove vende il 93% della sua produzione, circa 800 tonnellate di pasta al giorno, più o meno l’equivalente di otto milioni di piatti. Il secondo fattore è il territorio salernitano, che, pur con tutti i suoi problemi, è uno dei pochi nuovi brand che la Campania può esportare perché si coniuga nell’immaginario italiano all’ambiente pulito, alla biodiversità, alla presenza di intere generazioni di grandi imprenditori agricoli della Piana e a quella di contadini che nel Cilento hanno conservato i semi e i metodi dei loro avi. Tutto valore aggiunto che ora Giuseppe Di Martino vuole mettere nei suoi pacchi di pasta, chiedendo un prezzo capace di dare reddito ma che non sia da svendita, proprio per la qualità del prodotto che adesso propone nelle nuove confezioni. L’obiettivo è molto ambizioso: riposizionare il pastificio di Salerno tra i primi dieci player in Italia, in una parola riprendersi il mercato interno puntando sul doppio vantaggio, quello di un marchio comunque già ben conosciuto grazie ai fasti del passato e al tempo stesso arricchito dalla ricchezza dell’agroalimentare di una delle province più potenti d’Italia dove davvero non manca nulla: mare, pianura, collina, montagna. Carne, pesce, ortofrutta, latte, burro e olio, pomodori, mozzarella, colatura di alici, legumi, frutta. Per l’agricoltura salernitana, come per quella italiana, non c’è altra strada che dare valore aggiunto alle proprie merci per poter reggere i costi sul mercato mondiale. L’alternativa è la chiusura perché non è possibile rincorrere sui costi bassi altri paesi dove un lavoratore costa dieci volte di meno, non ci sono diritti e soprattutto, diciamolo, non ci sono le stesse tutele del consumatore. Per questo l’avventura che parte da Salerno con la nuova Antonio Amato ha una sua precisa peculiarità: gli 80 formati di pasta, l’olio extravergine, la colatura di alici, l’olio, i sughi pronti e quant’altro entrerà nel paniere dovranno essere sempre un filo sopra le aspettative del prezzo pagato dal consumatore. In una parola, ciascun cliente deve avere la sensazione, reale di aver fatto un buon affare. La differenza con il passato dell’agroalimentare è che non si tratta solo di marketing, ma di sostanza. Infatti la crisi ha resettato anche la sensibilità di chi acquista mentre la modernità ha inserito altri parametri (primo fra tutti la salute e la sensibilità all’ambiente) in precedenza estranei alle motivazioni di scelta. In una parola, se a partire dai Carosello degli anni ’60 tutto era giocato sullo slogan dello spot (all’epoca si diceva reclame) e sulla giusta sponsorizzazione, oggi il cambio di passo riguarda la sostanza di quello che si propone, la tabella nutrizionale, i marchi di garanzia, il messaggio autentico e di autenticità che nessun controllo, per quanto severo, deve poter smentire. La partita si può giocare perché, è stato ben sottolineato, c’è stata anche la giusta sensibilità dei giudici. Inoltre tutti i dipendenti (per ora una trentina) già lavoravano in questo stabilimento e sono, come ha detto Di Martino, «il nostro valore aggiunto che nessuno può vantare». Antonio Amato sarà dunque capofila di una filiera e punterà anche a coltivare la ricerca nel «Thinking» Silos nel quale saranno ospitati giovani di tutto il mondo. Un segnale chiaro: il rilancio non passa attraverso il taglio dei costi ma investendo in uomini, mezzi e ricerca. Purché, nel caso dell’agroalimentare, il territorio lo consenta. E Salerno c’è. Forse anche per questo la sua pasta non è stata comprata da stranieri o del Nord, ma da un imprenditore campano.
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