La ricetta è semplice: glutine quanto basta, non di più. Con la pastina, i biscottini e il semolino, sin da piccolissimi occorre fare attenzione a non esagerare per evitare di scatenare intolleranze e reazioni, quando si ha una predisposizione genetica, oramai abbastanza comune. La celiachia è questione di famiglia: ne soffre una persona ogni 5-10 tra i parenti di primo grado e una su 70 nella popolazione, stando ai risultati dell’ultima indagine presentata in Parlamento. Ma, in realtà, l’intolleranza alimentare colpisce molti più italiani: per ogni caso diagnosticato ce ne sono cinque che non vengono scoperti. E, non saperlo, può provocare ritardi nella crescita, anemia, osteoporosi, ipertransaminasemia fino ai segni neurologici e a un’evoluzione neoplastica di lesioni e linfomi (in rare circostanze).
«I pazienti sono in aumento a causa di una alterata risposta immunologica dovuta a fattori diversi come dieta, inquinamento, infezioni virali, infiammazioni», certifica Riccardo Troncone, presidente della Società internazionale per lo studio della malattia celiaca. Il professore universitario parla con dati alla mano: uno studio che ha condotto alla Federico II dimostra che il consumo maggiore di glutine è correlato a un più alto rischio di scatenare la malattia (dati pubblicati da Renata Auricchio su Scientific reports). «Nei 200 i bimbi coinvolti nella ricerca scientifica è stato, inoltre, individuato un marcatore specifico della malattia», spiega Troncone, che chiarisce quanto sia importante l’indicatore con l’obiettivo di predire la patologia e bloccarla in anticipo. Indagini sono in corso anche negli Stati Uniti (sotto l’egida di Alessio Fasano) e in Svezia (studio Teddy guidato da Daniel Agardh e incentrato sul rischio di diabete tipo 1 frequentemente associato alla celiachia).
La diagnosi è già meno invasiva rispetto al passato: a Napoli come nel resto di Europa in molti casi si fa a meno della biopsia intestinale, negli ambulatori pediatrici, e si ricorre al dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi. Sviluppi sono attesi invece per le terapie farmacologiche come alternativa alla dieta senza glutine, unico rimedio al momento efficaci. Tra i trattamenti al vaglio, c’è poi l’uso di enzimi in pillole che aiutano a digerire il grano, ma anche l’uso di anticorpi monoclonali che interagiscono con l’interleuchina 15 e di inibitori delle transglutaminasi sembrano riuscire a bloccare il danno intestinale. Lo dimostrano i primi risultati delle sperimentazioni avviate in Germania da Detlef Schuppan con le altre nuove frontiere presentate al simposio internazionale sulla malattia celiaca, dal 19 al 22 ottobre a Sorrento, presieduto da Troncone e da Carolina Ciacci, ordinario dell’Università di Salerno.