Maria Pirro
Prontosoccorso
di

Trapianti di cuore sospesi a Napoli
16enne costretta a emigrare al Nord

Trapianti di cuore sospesi a Napoli 16enne costretta a emigrare al Nord
di ​Maria Pirro
Martedì 9 Maggio 2017, 23:26 - Ultimo agg. 11 Maggio, 09:41
4 Minuti di Lettura

Martina è nata con il cuore a destra e soffre della tetralogia di Fallot. Ha subito sette interventi in 16 anni. L’ultimo, il trapianto salvavita, a Bergamo, perché al centro pediatrico di Napoli questi interventi sono sospesi. 

Trasportata d’urgenza con un volo privato dall’aeroporto di Capodichino, la ragazzina è entrata in sala operatoria sabato all’alba e l’operazione è durata oltre dieci ore. Suo padre, per primo, le ha potuto stringere la mano in terapia intensiva: «Non aveva la forza di parlare, le ho detto che tutto è andato bene e non deve più temere». Si commuove Umberto Vesce, 48 anni e una sola figlia, così fragile e così dolce: nella foto sul profilo Facebook che esibisce con orgoglio, lei ha una margherita tra i capelli. Sussurra il papà di San Giorgio a Cremano nel raccontare questa storia di speranza e rabbia, di gioia e tristezza: «Penso innanzitutto alla famiglia del donatore dell’organo, li ringrazio». Poi Umberto riavvolge il nastro dei ricordi: «Sin dal primo mese Martina era stata curata dai medici del Monaldi di Napoli. Nel 2013, era stata inserita lì in lista di attesa per l’operazione. Ma, con il passare degli anni, lo scenario è cambiato, l’attività di trapianto è stata sospesa e lei faceva fatica persino a muoversi». Di più. «Non riusciva a portare lo zaino e, per raggiungere l’aula delle lezioni, a scuola doveva prendere l’ascensore. Era sempre stanca e cianotica, con le labbra viola. Provata, nel corpo e nell’anima».



Di qui la decisione di chiedere aiuto fuori regione, all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Il ricovero, per accertamenti durati due settimane, tra febbraio e marzo 2016. «A Bergamo le avevano affiancato un sostegno psicologico, nella provincia di Napoli richiesto e mai ottenuto, ma le avevano anche detto chiaramente che senza il trapianto presto avrebbe avuto bisogno del sostegno di una macchina: un vero inferno». In quella circostanza i medici avevano aggiunto altri farmaci alla sua terapia («uno, dal costo di 848 euro, a carico del sistema sanitario») più la cura per l’anemia, «anziché la dieta a base di carne consigliata in origine». Questo, in attesa dell’operazione compiuta quattro giorni fa. «Un’emozione fortissima, per mia figlia, che può tornare a immaginare il futuro, anzi a correre verso il domani come i suoi coetanei». Ma la strada rimane irta di ostacoli, innanzitutto a causa della distanza tra casa e ospedale. «Deve restare a Bergamo, per tre mesi, con la mamma. Ed è già una sofferenza il pensiero di non poterle stare accanto». Umberto è un agente della polizia penitenziaria e non può assentarsi tanto a lungo, la sua compagna Rachele non lavora e vede anche i sacrifici economici che si profilano «per il viaggio e la permanenza». Ma Vesce è preoccupato anche per altre ragioni. «Anche per il ritorno a Napoli».

Lui spiega: «Il 26 aprile sono salito sul tetto del Monaldi assieme al comitato dei genitori dei bimbi trapiantati che ha così ottenuto un incontro con il parlamentare Raffaele Calabrò. Non è stata la prima manifestazione finalizzata a far ripartire gli interventi, reclutando altro personale, usando i fondi dedicati, ma richiamando anche le risorse interne che hanno dimostrato di saper operare bene». Carenze in organico sono note, e non sono l’unica causa di difficoltà. Con un nuovo documento, il comitato di genitori sollecita risposte: «Calabrò, come De Luca, non ha dato seguito all’impegno preso: ci disse che avrebbe potuto essere di stimolo in un percorso di accompagnamento per una soluzione. A questo punto, visto il defilarsi delle autorità, è chiaro che forse c’è una chiara volontà politica». E il caso è all’esame anche della commissione regionale Trasparenza. Carlo Spirito, avvocato di Federconsumatori Campania, evidenzia che in questa sede sono emerse una serie di criticità: «Non è normale che il centro risulti composto dal solo dirigente responsabile e che, con un atto aziendale che prevede un’unità per i trapianti con 12 posti letto, sussista solo un ambulatorio e che un centro che fa parte, a pieno titolo, della rete dell’emergenza non preveda protocolli specifici per l’accesso diretto alla struttura per i pazienti in lista o già trapiantati». 

Risposte? Un incontro tra il direttore generale del Monaldi Giuseppe Longo e il parlamentare Calabrò si è svolto lunedì scorso e nei prossimi giorni, fa sapere la direzione dell’ospedale, i rappresentanti dei genitori dei bambini saranno ricontattati per un’altra riunione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA