Maria Pirro
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In preda a un raptus sgozza i genitori. Lo psichiatra: «Da anni rifiutava le cure»

di Maria Pirro
Martedì 21 Novembre 2017, 15:09
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«Rifiutava le medicine, non accettava la malattia. Per questa ragione, un anno fa quel paziente era stato ricoverato d’urgenza e sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio nell’Asl di Caserta». L’ennesimo. «Altri ne aveva eseguiti in precedenza. Forse due, a Napoli». Ma Graziano Afratellanza, il quarantenne accusato di aver sgozzato i genitori nel sonno, fino a ieri «non era considerato socialmente pericoloso».

Giuseppe Nese, psichiatra all’Asl di Caserta, scenario della tragedia, coordina i servizi per il superamento degli Opg, gli ex manicomi criminali. Quelli che seguono i malati considerati aggressivi e sottoposti a misure di sicurezza.
«Ma il paziente in questione non aveva mai avuto problemi con la giustizia: alternava fasi di profonda depressione a momenti di psicosi e delirio».
Cosa può spingere a uccidere con tanta ferocia?
«Un raptus in un momento di delirio, l’ipotesi principale, non preceduto però da comportamenti aggressivi manifestati o segnalati anche nell’ultima visita alla Asl, avvenuta prima dell’estate».
La causa del raptus può essere la malattia non curata o trattata a intermittenza?
«Dipende. Ma il paziente psichiatrico non è di un’altra specie: come qualunque uomo può avere un impeto di rabbia, che si aggiunge alla malattia».
Ma perché rifiutare le cure?
«Probabilmente, anche per lavorare come cuoco: il 40enne era stato in Germania e doveva spostarsi in posti diversi. Gli effetti collaterali di alcuni farmaci possono rendere difficile talune attività. Poi c’è la questione dello stigma sociale, dovuto alla patologia psichiatrica. Non si accetta per non venire o sentirsi additati come malati di mente».
E la famiglia, che ruolo può aver avuto in questa scelta?
«Spesso accade che la famiglia possa rafforzare il convincimento dell’ammalato a non assumere farmaci, soprattutto nei periodi in cui si sente meglio».
Un tira e molla durato 10 anni in questa casa, senza soluzione di continuità.
«Certamente da molti anni. Non è semplice affrontare queste forme di disagio, soprattutto in tempi di tagli ai servizi sanitari. È complesso provvedere alla presa in carico dei malati con carenze di personale e risorse ormai dimezzate in Italia. I dati mostrano che la spesa è clamorosamente al di sotto della soglia fissata al 5 per cento del fondo sanitario nazionale. Di fatto, la psichiatria non è più un tema centrale: dai primi anni 2000 mancano progetti obiettivo per attività non legate all’urgenza».
La Campania è stata la prima regione a partire con la dismissione degli Opg, a Napoli e Aversa. Come procede la rivoluzione?
«Bene, perché si è investito - più che sulle Rems, che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari - nelle attività che favoriscono, appunto, la presa in carico del paziente da parte dei servizi. Tutto quello che manca nei servizi ordinari».
È cambiato il profilo degli ammalati sottoposti a misura di sicurezza?
«No, sono sempre persone con difficoltà di accesso ai servizi sociosanitari, giovani e con gravi problemi socio-economici, personali e familiari. Il loro numero è in calo, c’è una buona collaborazione con la magistratura, ma sono ancora tanti - 75 nel 2017 - che continuano ad arrivare nelle strutture campane».
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