Maria Pirro
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Cuore, se i trapianti
si fermano a Roma

Cuore, se i trapianti si fermano a Roma
di Maria Pirro
Sabato 31 Dicembre 2016, 12:23 - Ultimo agg. 10 Gennaio, 22:07
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In quale altra regione accade che un manager stimato della sanità, specializzato in pediatria, arrivi a dire: «Basta, sospendo i trapianti salvavita per i bambini malati di cuore»? Giuseppe Longo, il direttore generale degli Ospedali dei Colli, anticipando rilievi della commissione nazionale di esperti, ferma l'attività, probabilmente per un anno. Chi può accettare questa scelta? Segna il destino di tante famiglie e spezza l'Italia in due. Significa ammettere di poter garantire le cure fino a un certo punto, per l'esattezza fino al Bambin Gesù di Roma, aumentando (e accettando apertamente) la distanza che c'è tra il Sud e il resto d'Italia, riducendo ancora i livelli essenziali di assistenza nella Campania già ultima.

Il professionista fa un passo indietro davanti a difficoltà reali, ma già note e al centro di soluzioni, evidentemente rimaste sulla carta nella struttura, per numero di prestazioni, in linea con altri centri. Intorno ci sono rabbia, delusioni, speranze, una serie di evidenti criticità, le indagini dei magistrati su una tragedia in corsia come quella denunciata dai genitori della bellissima Irene. Quasi tre anni fa, la bimba di Scampia fu trasferita in elicottero a Bologna, perché «troppo piccola» per essere seguita qui, «a causa delle carenze di personale», spiegò l'allora governatore Stefano Caldoro. Ma poi la bimba fu operata d'urgenza a Napoli e i trapianti continuarono con le stesse problematiche e un nuovo il primario, arrivato proprio dal Policlinico emiliano dopo il pensionamento anticipato di Giuseppe Caianiello (non senza una coda di veleni tra medici).

Subentrato alla presidenza della Regione, Vincenzo De Luca annunciò rapidamente la svolta, in coincidenza con il trapianto ottenuto da un'altra bimba, la dolcissima Martina. «Ma nulla è cambiato, nonostante le nostre lettere risalgano al 2014: perché chiudere ora? Chiediamo adeguamenti, non tagli», afferma Dafne Palmieri, portavoce del comitato di familiari dei bimbi trapiantati. Racconta: «Mio figlio è l'unico sopravvissuto tra otto piccoli operati o in attesa d'intervento seguiti negli ultimi due anni: è possibile sopportare questa tremenda tensione, rinunciare a un centro di riferimento quale è stato il Monaldi?».

Altri ammalati, da piccolissimi, curati in precedenza, sono rimasti in buona salute. Come Simone, il bimbo di Avellino che, a soli due anni e dopo 11 mesi di cura, lasciò l'ospedale con un cuore nuovo, diventando il simbolo della «rinascita» attesa dagli altri. Anche lui fu operato d'urgenza e gli fu impiantato il berlin heart al Monaldi, nell'unico centro autorizzato dal ministero nel Meridione. Difatti, era la prima volta che una struttura del Sud provvedeva al cuore meccanico e al trapianto. Nel 2012 il bambino fu così ritratto in copertina sulla rivista dell'ospedale dei Colli e citato nell'editoriale del manager Antonio Giordano, «particolarmente orgoglioso», che ringraziò l'equipe guidata da Caianiello, con i medici Andrea Petraio e Fabio Ursomando. La divisione aveva seguito il paziente «passo dopo passo, fino a ottenere il risultato sperato».

E dopo quel commovente percorso, altri 16 pazienti sono stati assistiti. Ex bambini come Massimo, il figlio di Dafne, ma anche Chiara e Imma, protagoniste sul Mattino in un articolo ripreso da Fabio Cannavaro. «Sino al 2013, si aveva una sopravvivenza del 92.3 per cento dei casi». Il comitato di familiari con Federconsumatori indica i dati sull'assistenza necessaria per i nuovi e per i tanti pazienti campani, considerato che per legge «la struttura è un centro per le emergenze regionali», ricorda l'avvocato Carlo Spirito, responsabile sanità per l'associazione. Un monito rivolto anche a Nanni Costa, il direttore del Centro nazionale trapianti che ha rilevato le criticità, ma «parte in causa» in qualità di commissario per l'attività in Campania.

Quattro anni dopo Simone, preoccupa lo stop ai trapianti pediatrici. Una bimba, in attesa d'intervento, ha chiesto aiuto a Bergamo; un'altra a Roma. Se ne sono andati, invece, per sempre Irene e Martina, Barbara, Vincenzo, Francesco, Antonio, Aniello e il più piccolo Francesco. Li chiamano gli angeli del Monaldi. Da dove ripartire.

Diversi medici, come Petraio e Ursomando, lodati dall'ex direttore generale, sono rimasti nella struttura con compiti diversi. E il nuovo manager degli ospedali dei Colli («già direttore sanitario di presidio, in passato», ricorda in un'interrogazione la consigliera regionale Valeria Ciarambino) ha presentato un piano. «Punto sulla integrazione multidisciplinare, senza esclusione di alcun professionista dell'azienda», dice Longo. «Il mio impegno è attivare per inizio gennaio una corsia preferenziale h 24 per i pazienti pediatrici in emergenza seguiti dal centro trapianti», promette, mostrando il vuoto più profondo da superare. Perché quando un bimbo è ammalato non può certo aspettare: né un'ora né un anno.

La copertina del Monaldi dedicata a Simone, anno 2012
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