Nei fondali del Tirreno calabrese
il vulcano «gemello» del Vesuvio

Nei fondali del Tirreno calabrese il vulcano «gemello» del Vesuvio
di Mariagiovanna Capone
Venerdì 13 Settembre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 07:05
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Abbiamo mappato completamente Marte, Mercurio, Venere ma la Terra resta ancora in gran parte oscura. Circa il 65 per cento del nostro pianeta è infatti sconosciuto, poiché appena il cinque percento dei fondali marini è stato mappato topograficamente. Conoscere la loro forma significa comprendere sempre di più la dinamica della Terra, come si è evoluta e quindi per i ricercatori capire, ipotizzare come potrebbe evolvere in futuro. I ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia negli ultimi anni, grazie a nuove e avanzate tecnologie per elaborare dati, stanno mappando il Mediterraneo. Mai però avrebbero creduto di trovarsi di fronte a una scoperta inattesa. A pochi chilometri dalla costa calabra tra Scalea e Diamante, infatti, è stato individuato un complesso vulcanico finora sconosciuto.
 
Il lavoro «Magmatism Along Lateral Slab Edges: Insights From the Diamante-Enotrio-Ovidio Volcanic-Intrusive Complex (Southern Tyrrhenian Sea)», si è guadagnato la pubblicazione sulla prestigiosa rivista «Tectonics» dell'Agu (American Geophysical Union), ed è stato selezionato come «research spotlight» del mese di settembre della rivista Eos - Earth & Space Science News.

Per il lavoro sono state utilizzate diverse tecniche geofisiche: batimetria sonar multibeam, sismica a riflessione, anomalie magnetiche e tomografia sismica. L'analisi dei dati ha messo in evidenza la presenza di un'ampia area caratterizzata da numerosi corpi magmatici solidificati a diverse profondità che risalgono fino al fondale marino formando edifici vulcanici. Il sistema è ad appena 15 chilometri dalla costa tirrenica calabrese e rappresenta uno dei più grandi complessi vulcanici sottomarini italiani. A formarlo è stata la fusione di materiale proveniente dal mantello lungo una profonda faglia della crosta terrestre, ed è costituito dai vulcani Diamante, Enotrio e Ovidio. «L'evoluzione geologica del Mediterraneo occidentale durante l'era Cenozoica è stata controllata principalmente dalla dinamica della placca adriatico-ionica in subduzione sotto la placca euro-asiatica. La segmentazione e fratturazione della litosfera oceanica sono processi che avvengono comunemente nei sistemi in subduzione e prevedono la formazione di porzioni di placche che si immergono nel mantello», spiega Riccardo De Ritis, ricercatore dell'Ingv.

I risultati ottenuti sono rilevanti per comprendere i processi magmatici che si verificano lungo i bordi del mantello nel sistema di subduzione tirrenico-ionico, dando informazioni essenziali alla comprensione dei georischi a essi associati, a oggi non ancora ampiamente documentati. In particolare, getta nuova luce sull'esistenza di importanti complessi vulcanici sul fondale marino a distanze dalla costa decisamente inferiori a quanto non si conoscesse in precedenza. Gli edifici vulcanici sono fuori asse rispetto al sistema di alimentazione principale e attualmente non sono attivi anche se sono ancora osservabili piccole salite di magma. «Il complesso vulcanico individuato nel Mar Tirreno - prosegue De Ritis - è stato suddiviso in due porzioni. Una parte occidentale, più distante dalla costa, i cui edifici vulcanici presentano una morfologia accidentata e deformata da strutture tettoniche. La parte orientale, più vicina alla costa, presenta invece edifici vulcanici arrotondati dalla sommità pianeggiante, causata dall'interazione tra vulcanismo e variazioni del livello del mare che ha generato nel tempo cicli di erosione e sedimentazione».

La subduzione e il retrocedere della microplacca adriatico-ionica (un frammento di crosta oceanica che si separò dall'Africa durante il Cretaceo) sotto l'Eurasia hanno controllato gran parte dell'evoluzione tettonica e stratigrafica del Mediterraneo occidentale.

La subduzione ha forgiato il Vesuvio e altri vulcani del sud Italia, per esempio, così come altri fenomeni tettonici hanno portato all'apertura di bacini tra cui il Mar Tirreno tra Sardegna, Sicilia e Italia continentale. E uno dei nuovi vulcani scoperti sarebbe anche più grande del Vesuvio. La lacerazione e la fratturazione delle placche oceaniche discendenti sono comuni nei sistemi di subduzione e questo processo può consentire la risalita in superficie di magma e spiega la presenza di monti vulcanici nel Mar Tirreno meridionale (il Marsili, per esempio). A oggi, tuttavia, questo magmatismo è stato scarsamente documentato. Il lavoro dell'Ingv rappresenta quindi un tassello importante per comprendere la dinamica di quest'area del Tirreno, come sul potenziale rischio in una regione densamente popolata la cui attività vulcanica era precedentemente ritenuta una delle meglio conosciute al mondo.

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