Il patto tra mafia e 'ndrangheta
per l'attacco al cuore dello Stato

Un momento della conferenza stampa tenutasi a Reggio Calabria
Un momento della conferenza stampa tenutasi a Reggio Calabria
di Serafina Morelli
Mercoledì 26 Luglio 2017, 19:03
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REGGIO CALABRIA - Un’alleanza per mettere in ginocchio lo Stato, un vero e proprio patto eversivo è stato suggellato da esponenti di Cosa Nostra e ‘ndrangheta nel corso di diversi summit per destabilizzare il Paese anche con modalità terroristiche. Dopo il tramonto della prima Repubblica le organizzazioni criminali intendevano continuare a mantenere l’influenza sulla classe politica. Così si accordarono per «dare il colpo di grazia». A riscrivere la storia degli anni ’90, partendo dagli attentati subiti in Calabria dall’Arma, sono i magistrati della Dda di Reggio Calabria nell’inchiesta denominata “Ndrangheta stragista”. L’uccisione degli appuntati scelti dei carabinieri, Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, ammazzati a colpi di mitra il 18 gennaio 1994 lungo l’autostrada A3 nel tratto Bagnara-Scilla, e il ferimenti di altri quattro militari, «vanno a collocarsi - scrivono i magistrati reggini - nel contesto della strategia stragista che ha insanguinato il Paese nei primi anni 90' e in particolare in quella stagione definita delle “stragi continentali”». Secondo l'impostazione accusatoria, «l'obiettivo strategico delle azioni contro i carabinieri, al pari di quello degli altri episodi stragisti verificatisi nel Paese, era rappresentato dalla necessità, per le mafie, di partecipare a quella complessiva opera di vera e propria ristrutturazione degli equilibri di potere in atto in quegli anni. E tale strategia - secondo gli inquirenti - appariva condivisa, da schegge di istituzioni deviate, da individuarsi in soggetti collegati a servizi d'informazione che ancora all'epoca mantenevano contatti con il piduismo». 

La Dda di Reggio Calabria ha ricostruito, attraverso l’apporto di nuovi e fondamentali elementi raccordati e collegati fra loro, le causali, gli scopi sottesi dietro il duplice omicidio del 18 gennaio 1994 e i due tentati omicidi: il 2 dicembre del 1993 rimasero feriti a colpi d'arma da fuoco i carabinieri Vincenzo Pasqua e Silvio Ricciardo; quattordici mesi dopo, nel febbraio del 1994, poco dopo la strage di Scilla, durante un posto di controllo rimasero feriti i carabinieri Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra. E oggi abbiamo i nomi dei mandanti: Rocco Santo Filippone, 73 anni, di Anoia (Rc), considerato capo del "mandamento tirrenico" della 'ndrangheta all'epoca degli attentati ai Carabinieri, e Giuseppe Graviano, 54 anni, palermitano, capo del mandamento mafioso di Brancaccio, coordinatore riconosciuto con sentenze definitive delle cosiddette stragi "continentali" eseguite da Cosa Nostra. Graviano era già detenuto nel carcere di Terni. 
A parlare nel 2010 del possibile ruolo di Cosa Nostra nell'uccisione di Fava e Garofalo fu il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati Antonino Ingroia e Nino Di Matteo che indagavano sui misteri della trattativa fra Cosa Nostra ed esponenti delle istituzioni. E la ‘ndrangheta ha avuto un ruolo tutt’altro che marginale. 
Subito dopo gli attentati in cui persero la vita i magistrati siciliani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si tenne un summit in Calabria, a Nicotera Marina (Vv), all’interno del villaggio “Sayonara” controllato dalla famiglia Mancuso di Limbadi, legata a quella dei Piromalli, egemone nella piana di Gioia Tauro. Sarebbe stato proprio Totò Riina, l’allora capo indiscusso della mafia siciliana, il promotore della richiesta alla 'ndrangheta di cooperare alla strategia di Cosa Nostra, con l'individuazione degli obiettivi istituzionali da colpire. A Nicotera parteciparono tutti i capi delle cosche, da Cosenza a Reggio Calabria, proprio a dimostrazione «della unitarietà della ‘ndrangheta, ovvero del suo atteggiarsi a forza mafiosa che verso l’esterno si presentava unita e compatta». Altre riunioni poi si sarebbero svolte nella zona del "mandamento tirrenico" della 'ndrangheta (Rosarno, Oppido Mamertina, Melicucco), in ambiti territoriali sottoposti alla giurisdizione criminale dei Mancuso, dei Piromalli, dei Pesce e dei Mammoliti. Cosa Nostra, ipotizzano i magistrati, aveva indirizzato proprio ai clan Piromalli/Molè,con i quali i rapporti erano strettissimi, la richiesta di promuovere gli incontri «in vista di una adesione generalizzata della 'ndrangheta alla strategia stragista che Cosa Nostra aveva deciso di intraprendere». 
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