Migranti, il business delle cosche: sotto accusa il parroco che sposò la figlia del boss

Migranti, il business delle cosche: sotto accusa il parroco che sposò la figlia del boss
di Gigi Di Fiore
Martedì 16 Maggio 2017, 08:37 - Ultimo agg. 17 Maggio, 10:00
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Inviato a Isola di Capo Rizzuto

Il prete e il presidente. Come il gatto e la volpe, i due protagonisti principali dell’inchiesta che agita le acque della gestione del Centro di accoglienza per migranti all’ex hotel Sant’Anna. Il prete è don Edoardo Scordio, originario di Petilia Policastro, 70 anni di cui 40 di sacerdozio, anima spirituale della comunità di Isola Capo Rizzuto e della parrocchia di Maria Assunta, qui conosciuta anche come ad Nives. Laureato in filosofia alla Cattolica, un fratello in Svizzera, il parroco ha sempre fatto parlare molto di sé e nell’inchiesta di ipotizza che il sacerdote fosse riuscito a trasferire parte dei soldi destinati all’ accoglienza dei migranti proprio nelle banche svizzere. È quanto ipotizzano gli inquirenti nell’ambito dell’inchiesta Nel 1996, celebrò il matrimonio della figlia del boss Nicola Arena, uno dei capostipite della cosca che controlla la provincia di Crotone e che, con le estorsioni ai villaggi turistici sulla costa, con l’imposizione delle forniture e con l’inserimento negli affari delle forniture ai migranti ha guadagnato tanto. Furono nozze lussuose, con la sposa, Raffaella Arena, molto ammirata e ben 1700 invitati al club La Castella dove il ricevimento fu interrotto dai carabinieri che cercavano latitanti.

Eppure, don Scordio ha tentato più volte di costruirsi un’immagine di prete antimafia. Fiaccolate, generiche omelie contro le cosche soprattutto ai funerali di morti ammazzati. E poi, nel 2004, la diffusione di un documento in paese intitolato «il decalogo della libertà dalla ‘ndrangheta e dalla sua cultura di morte”». Passò solo un anno e sotto la sua canonica trovarono un rudimentale ordigno esplosivo. Qualcuno disse che fu un avvertimento. Ora, nelle 2130 pagine del fermo giudiziario firmate dalla Procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, il nome del parroco è tra quelli ricorrenti nell’elenco degli 84 coinvolti.

Le ipotesi di accusa parlano di soldi versati alla parrocchia e distratti dal Centro di accoglienza dove dovevano servire alla gestione della mensa e dell’accoglienza ai migranti. Tra i sei pentiti di ‘ndrangheta che hanno fatto dichiarazioni utili all’inchiesta, il 27 ottobre scorso Giuseppe Giglio dice che una delle «menti» nell’affare del Centro di accoglienza di Sant’Anna era «il prete». L’altro, naturalmente, sostiene fosse il presidente, Leonardo Sacco, 38 anni, originario di Cariati in provinia di Cosenza. È lui il governatore regionale della Misericordia, istituzione di carità costituita ben otto secoli fa con centro in Toscana e strutture sull’intero territorio nazionale. Dal 2012 al 2015, Sacco è addirittura il vice presidente nazionale della Confederazione delle Misericordie. Poi, il presidente Roberto Trucchi, come ha dichiarato ai magistrati, lo fece dimettere. Aveva scoperto che, in una delle società di catering subappaltatrice dalla Misericordia per la fornitura pasti al Centro Sant’Anna c’era Mario Gemelli, cognato di Sacco. «Mi disse che era un caso di omonimia, ma da accertamenti scoprii che invece era il marito della sorella Maria Sacco» dichiara il presidente Trucchi.

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