'Ndrangheta, l'allarme di Gratteri:
«Così sbarca anche in Sicilia»

'Ndrangheta, l'allarme di Gratteri: «Così sbarca anche in Sicilia»
di Gigi Di Fiore
Martedì 16 Aprile 2019, 12:00 - Ultimo agg. 16:08
5 Minuti di Lettura
Procuratore capo a Catanzaro, autore di più saggi sulla ndrangheta, Nicola Gratteri è uno maggiori conoscitori della mafia calabrese che ha da tempo dimensione internazionale. Mafia che attira poca attenzione, perché è sempre più sostanza di affari in doppiopetto che folklore.

Procuratore Gratteri, la ndrangheta è una mafia che agisce in sordina?
«È sicuramente la mafia di maggiore potere economico, che supera i confini italiani. È dominante nell'intera Europa e si è radicata da 40 anni in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Al nord, ha soppiantato Cosa nostra».

Eppure, nell'idea diffusa, c'è ancora chi parla di una mafia stracciona. Come mai?
«È un ritornello ricorrente, perché la ndrangheta non ha bisogno di fare clamore, di azioni eclatanti. Si è estesa persino in alcune zone della Sicilia, dove fornisce cocaina alla mafia siciliana».

Pochi agguati e molti affari?
«Proprio così. Ed è una strategia possibile per la struttura familiare dei singoli locali, come si chiamano i gruppi della 'ndrangheta nelle diverse aree. C'è una selezione nell'affiliazione, che guarda all'affidabilità e all'obbedienza del picciotto. Un ordine, anche di morte, non va discusso e chi lo esegue deve dimostrare coraggio e sangue freddo».

Una selezione psicologica?
«Anche, sì. Il picciotto viene valutato nella sua tenuta nervosa. Le regole e gli ordini non vengono mai messi in discussione, come invece avviene nella camorra dove i rimescolamenti e i contrasti tra gruppi sono continui».

Questo rende la mafia calabrese più stabile?
«Sì, se dovessero finire le mafie, credo che la prima a scomparire sarebbe la camorra che pure è la più antica. La 'ndrangheta finirebbe per ultima. È un paradosso, naturalmente».
 
Da cosa nasce questo potere criminale ed economico?
«Dal controllo totale del mercato della cocaina all'ingrosso. La mafia calabrese la vende in tutta l'Europa. In Italia, la vende alla camorra e a Cosa nostra. Non hanno piazze di spaccio, la vendita su strada in Calabria, come nella provincia di Torino o di Milano, la fanno i nigeriani che acquistano la cocaina dagli 'ndranghetisti».

Da dove arriva la cocaina?
«Dal Sudamerica, passando a volte per la Spagna. Ma i porti di maggiore transito sono Amsterdam, Rotterdam, Anversa e in Italia, invece, Genova, Livorno, Trieste, Venezia, Ancona e giù Gioia Tauro».

Come è arrivata la mafia calabrese al monopolio nella vendita di cocaina?
«Da un'intuizione, che portò molti 'ndranghetisti a trasferirsi in Sudamerica dove ora sono in società con i produttori della cocaina e con alcuni narcotrafficanti. Vengono considerati attendibili, seri, affidabili. Quando la cocaina soppiantò l'eroina nel diventare droga di massa in tutti gli ambienti culturali, la mafia calabrese sostituì quella siciliana che gestiva tutto il traffico dell'eroina».

Gli 'ndranghetisti riescono a imporre anche prezzi migliori degli altri?
«Sì, proprio per il loro rapporto con i produttori di cocaina. Riescono ad acquistarla a mille euro al chilo, mentre altri la pagano 1800 euro».

Al nord la ndrangheta è penetrata nelle attività imprenditoriali pulite?
«Sì, negli ultimi anni c'è stata sempre maggiore infiltrazione nel settore dell'edilizia, dello smaltimento rifiuti, del movimento terra e poi della ristorazione. I locali di 'ndrangheta sono estesi in tutte le regioni del nord. Affiliati o imprese collegate riescono ad infiltrarsi con facilità senza che nessuno si insospettisca per tanto denaro che circola».

Pochi sospetti perché non esiste più il mafioso con la coppola e i modi rudi?
«La maggior parte delle imprese collegate alla 'ndrangheta sono gestite da gente che si veste bene e ha modi di fare forbiti. Gente ritenuta perbene, su cui nessuno alza le antenne se possiede elevata disponibilità di denaro».

Tutti soldi che arrivano dalla cocaina?
«I capitali iniziali, che consentirono investimenti nelle aziende soprattutto edili al nord, arrivavano dal controllo totale dei sequestri di persona che furono appannaggio della 'ndrangheta negli anni '70 del secolo scorso. Sequestri di persona in Calabria, ma anche in regioni del nord. In realtà, nelle regioni settentrionali, ho sempre trovato chi quasi si offendeva se li mettevo in allarme».

È successo?
«Sì. Una quindicina di anni fa, spiegai in provincia di Reggio Emilia il pericolo della penetrazione della mafia calabrese. Mi risposero dicendo che al nord avevano anticorpi sufficienti, che da loro non avrebbe attecchito. Oggi, la realtà dimostra che non è stato così. Le inchieste sulla presenza di locali di 'ndrangheta anche in provincia di Reggio Emilia sono molte».

I locali di 'ndrangheta sono autonomi in ogni regione?
«L'autonomia è sulla gestione interna, ma non sono mai svincolati dal controllo della casa madre calabrese che è sempre a San Luca sede del cosiddetto crimine, il vertice che controlla che nessuno violi le regole generali dell'organizzazione. Il capo del crimine viene nominato dai diversi locali e, in caso di violazioni serie, viene aperta anche un'istruttoria con un vero e proprio tribunale».

Ci sono stati casi recenti di violazioni di qualche locale?
«È accaduto nella faida di Locri. Fu decisa la chiusura del locale, che non poteva gestire più affari né rapportarsi con gli altri».

Esistono locali più importanti di altri?
«I sette locali calabresi, ma poi ce ne sono anche al nord in rapporti stretti con le case madri. Va detto che la concentrazione della repressione dello Stato in Sicilia negli anni '90 del secolo scorso agevolò l'espansione silenziosa e sotto traccia della 'ndrangheta».

Il crimine può considerarsi una cupola, come era quella della mafia siciliana?
«No, è invece una specie di struttura di controllo delle regole che rendono questa mafia rigida e anche con pochi collaboratori di giustizia. Mai nessun capomafia si è pentito, sempre personaggi di secondo piano».

Mafia potente che non ha bisogno di azioni rumorose, ma con molti affiliati?
«Proprio così. Gli affiliati della 'ndrangheta sono migliaia nel mondo. Basti pensare che in Canada esistono locali strettamente collegati con quelli calabresi e ci sono affiliati che fanno la spola per informarsi sulle novità nella casa madre. Quando a Milano un capo di un locale pensò di svincolarsi dalla casa madre calabrese, venne prima isolato e poi ucciso».

Ci sono famiglie che contano di più negli scenari 'ndranghetisti?
«Quelle storiche, come i Pelle di San Luca, i Di Stefano di Reggio Calabria, i Piromalli di Gioia Tauro. Ma i fatti di sangue sono pochi, la penetrazione sociale, al sud come al nord, avviene attraverso la corruzione e la complicità in affari comuni. Molti imprenditori non si chiedono nulla e trovano comodo intrecciare attività con chi dispone di capitali non si sa come acquisiti. Per questo, c'è sempre bisogno di fare attenzione sui cosiddetti reati spia. Penso alle false fatturazioni, alle bancarotte, alle evasioni fiscali».
© RIPRODUZIONE RISERVATA