Ospedali chiusi da 11 anni,
la sanità negata in Calabria

Ospedali chiusi da 11 anni, la sanità negata in Calabria
di Gigi Di Fiore
Martedì 7 Settembre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 9 Settembre, 09:24
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Li separano 71 chilometri, ma condividono una sorte comune. Costa jonica nella provincia di Cosenza, Cariati e Trebisacce senza più il loro ospedale da 11 anni. Colpa del disavanzo da 187,5 milioni, con relativo commissariamento, della sanità calabrese. Colpa di un’implacabile accetta che ha chiuso 18 strutture sanitarie nella regione. Ma il caso della costa jonica è più particolare di altri. 

Solo a fine luglio i comitati «Le Lampare» e «Uniti nella speranza» dopo 8 mesi hanno smesso di occupare un’ala dell’ospedale «Vittorio Cosentino» di Cariati. Una protesta pacifica, per sollecitare la riapertura di una struttura ridimensionata alla «prima assistenza», ma senza posti letto, divisioni specializzate e primari. Un grande edificio diventato solo ambulatorio per i primi soccorsi. Il presidio popolare è stato solo sospeso, la parola d’ordine resta sempre «salute e dignità». Dice il dottore Cataldo Formaro, radiologo in pensione, tornato in servizio per la pandemia nel laboratorio di analisi dell’ex ospedale: «La provincia di Cosenza è quella con il più alto numero di pazienti costretti a curarsi altrove.

E vanno non solo al nord, I cittadini di questa provincia pagano anche alla vicina Regione Basilicata otto milioni e 800mila euro per prestazioni sanitarie».

L’estate aggrava la situazione, con l’aumento dei residenti e l’intensità del traffico sulla martoriata statale 106 che porta a Crotone dove, a 60 chilometri, c’è il più vicino ospedale attrezzato. Niente radiologia, niente cardiologia, problemi nella ginecologia, solo analisi di laboratorio e pronto soccorso di primo intervento nella struttura di Cariati. Dice Mimmo Formaro del comitato «Le Lampare»: «Sta scoppiando il pronto soccorso a Rossano, altra struttura dove ci si rivolge e dove in estate il personale scoppia e ha subito aggressioni da gente esasperata».

Sulla costa jonica calabrese, il diritto alla salute è da 11 anni negato. Dice il consigliere regionale uscente Giuseppe Graziano: «Tutti gli indici di qualità della vita nel territorio tra Crosia Mirto e Cirò Marina sono in continuo calo dal 2010 e l’inesistente assistenza sanitaria rende tutto più grave». Da 9 mesi nell’incarico di commissario straordinario per la sanità calabrese, il prefetto Guido Longo ha subito messo in evidenza la richiesta della riapertura dell’ospedale di Cariati. Ma ha le mani legate, senza un piano riorganizzativo sanitario generale e, con l’avvio della campagna elettorale per le Regionali, c’è una nuova stasi legata all’ipotesi che il nuovo presidente possa accorpare l’incarico di commissario sulla sanità. Situazione di attesa. A novembre, su richiesta della Protezione civile, Emergency aveva inviato un suo staff medico all’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone e, in quell’occasione, aveva detto Gino Strada: «Possiamo ricominciare subito dalla riapertura dell’ospedale di Cariati». 

Alle parole non sono seguiti i fatti, che non dipendono da Emergency. E il parametro di posti letto ogni mille abitanti, che a livello nazionale è di 3,2, sull’area jonica calabrese resta a 0,94. Numeri che hanno messo in difficoltà l’intera provincia nel periodo caldo della pandemia. A luglio e agosto, come ogni estate, molti sono stati i timori per l’aumento dei turisti che fa arrivare a centomila i residenti sul territorio. Spiega il dottore Cataldo Formaro, che anima anche i comitati di protesta: «Se su alcune patologie si interviene dopo un’ora, la possibilità di sopravvivenza scende al 10 o 20 per cento. Intervenire subito è importante, la condizione disastrata della statale 106 è nota. Raggiungere Crotone o Rossano e Corigliano è un’impresa a rischio, in caso di un incidente o di un improvviso malanno». 

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A 71 chilometri più a nord, sempre sulla stessa costa, la situazione non è diversa. Trebisacce aspetta il suo ospedale, chiuso da undici anni: unica alternativa, correre a Corigliano o a Rossano, dai 35 ai 45 chilometri di distanze. E lo aspetta, dopo che il Consiglio di Stato, investito da una serie di ricorsi amministrativi, ha stabilito che la struttura deve essere riaperta. Anche a Trebisacce è nato un comitato civico per ottenere la riapertura dell’ospedale «Chidichimo». In piena pandemia hanno denunciato: «L’ospedale chiuso e la stazione ferroviaria interrotta hanno provocato lo spopolamento di oltre duemila abitanti». Anche qui, niente assistenza o posti letto, ma solo un primo intervento di urgenza con appena quattro medici in servizio. Nelle ultime ore, uno si è ammalato e sono rimasti in tre. Significa che è diventato difficile assicurare turni di notte. A maggio, il commissario ad acta per l’ospedale «Chidichimo», Andrea Urbani, nominato per eseguire la sentenza amministrativa, ha predisposto l’organizzazione della struttura in vista della riapertura imposta dal Consiglio di Stato. Prevede 80 posti letto, con medicina generale, chirurgia, lunga degenza, dialisi, pronto soccorso, radiologia e 18 ambulatori. Ma si aspetta ancora la riapertura e Carlo Ponte, neo commissario prefettizio al comune di Trebisacce, ha dichiarato al suo insediamento un mese fa: «L’ospedale è un presidio da mantenere a ogni costo, in un territorio così vasto e a confine con la Basilicata». La campagna elettorale regionale non aiuta anche se, ad aprile, il commissario Longo si è impegnato in Consiglio regionale: «Nella programmazione 2022/2024 sono previste modifiche al decreto 64 che ha disposto la chiusura di alcune strutture ospedaliere». A Cariati e Trebisacce sperano. Come nell’intera costa jonica della provincia di Cosenza. 

(1 - continua

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