Reggio Calabria, sigilli per 200 milioni
ai beni di 4 imprenditori delle ‘ndrine

Reggio Calabria, sigilli per 200 milioni ai beni di 4 imprenditori delle ‘ndrine
di Mario Meliadò
Martedì 19 Novembre 2019, 16:54 - Ultimo agg. 17:08
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Carmelo Ficara, Andrea Francesco Giordano, Michele Surace e il figlio Giuseppe: quattro noti imprenditori di Reggio Calabria ma, per gli inquirenti della Dda, soprattutto quattro artefici d’inestricabili collusioni con le ‘ndrine. Se non soggetti «intranei», insomma membri dei clan a tutti gli effetti. Per questo, stamattina è stato loro sequestrato un patrimonio dal controvalore complessivo da 200 milioni di euro. 

Tra gli sterminati beni oggetto del maxisequestro ci sono  456 (quattrocentocinquantasei) immobili sparsi tra l’area dello Stretto e Milano e conti correnti; l’unica, frequentatissima Sala bingo di Reggio Calabria e 13 auto di lusso; pacchetti azionari di villaggi turistici e numerose imprese edili. 

A “mettere in freezer” queste enormi ricchezze, un team composto da uomini dei Comandi provinciali di Carabinieri e Guardia di finanza, elementi del Centro operativo di Reggio della Direzione investigativa antimafia e uomini dello Scico (il Servizio centrale Investigazioni criminalità organizzata delle Fiamme gialle), coordinati dal procuratore distrettuale reggino Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Walter Ignazitto e Stefano Musolino.

Il quartetto d’imprenditori farebbe capo a vario titolo alle potenti cosche De Stefano e Tegano, già ‘ndrine alleate negli anni ruggenti e sanguinosi delle due “guerre di mafia” in riva allo Stretto. Già il 9 aprile 2018 l’operazione “Monopoli” aveva acclarato i rapporti scellerati intercorsi tra questi soggetti imprenditoriali – finiti dietro le sbarre per associazione mafiosa, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori e altre ipotesi di reato – e tanti capi e capetti del crimine organizzato calabrese: adesso la mega-misura di prevenzione patrimoniale.

I loro patrimoni smisurati, “congelati” adesso su richiesta della Procura distrettuale suffragata dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria, furono accumulati «in modo del tutto illecito» grazie a un «sistema di cointeressenze criminali» che indebitamente ponevano le varie aziende colluse, di fatto, in posizione di monopolio (di qui il nome dato al blitz operato lo scorso anno) nei settori di riferimento. Beni immediatamente oggetto di money laundering – in particolare nell’edilizia –, con l’ausilio di numerosi familiari e prestanome, nel tentativo di “ripulire” il denaro sporco per sfuggire alle maglie della Legge.

Ma è andata a finire diversamente.

Giusto per dare un’idea del livello di cointeressenze malavitose, il complesso “Mary Park” al cui interno trovò poi posto la Sala bingo monopolista a Reggio e numerose villette a schiera vennero realizzati alla fine degli anni Novanta solo grazie all’indispensabile “benedizione” di uno dei “mammasantissima” che contavano di più sull’intero territorio regionale: Giovanni Tegano. Per suggellare quest’ “amicizia”, una delle villette di fresca costruzione fu sùbito assegnata a Giuseppe Tegano, fratello del superboss di Archi.

«Al di là del procedimento penale c’è un lavoro rispetto al quale la Procura di Reggio Calabria – ha evidenziato il procuratore distrettuale Bombardieri questa mattina, in conferenza stampa – s’è dotata di un servizio Misure di prevenzione personali e patrimoniali, coordinato da me e dal dottor Paci, che vede insieme colleghi della Direzione distrettuale antimafia e della Procura ordinaria proprio per garantire il contrasto più efficace alla criminalità organizzata anche sotto il profilo strettamente patrimoniale. Del resto è ora di capire che un imprenditore degno di questo nome – è risuonato il monito del procuratore reggino – contiguo a una cosca, che in questo modo le consente di crescere e proliferare, piegandosi a continue richieste di “pizzo” e assunzioni gradite alla ‘ndrina non può ritenere di rimanere indenne dalle conseguenze della sua condotta: è ora di prendere le distanze dai clan, una volta per tutte. La nuova frontiera giudiziaria? Aiutare gli imprenditori ad affrancarsi da questo sporco giogo che spesso li vede vittime, ma purtroppo talvolta anche complici, in qualche modo carnefici allo stesso modo dei propri persecutori».

Quanto poi alla creazione della famigerata Sala bingo, ha evidenziato il procuratore aggiunto Gaetano Paci come evidenzi «la capacità d’esercitare una capacità d’interdizione rispetto ad altri imprenditori dello stesso settore, come quello che avrebbe voluto allestire una Sala bingo concorrente: e per riuscirci, le cosche mettono sempre campo il massimo del deterrente, la propria forza intimidatoria».

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