Riace, Lucano resta in Calabria:
«Grazie Napoli, ma non posso»

Riace, Lucano resta in Calabria: «Grazie Napoli, ma non posso»
di Maria Pirro
Venerdì 19 Ottobre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 27 Maggio, 22:37
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«Non vengo a Napoli, resto tra la mia gente». Mimmo Lucano, il sindaco di che ha dovuto lasciare Riace a seguito del divieto di dimora deciso dai giudici del Riesame, risponde al telefono da Caulonia, in Calabria, a diciannove chilometri di distanza da casa.

Dopo lo scambio di battute a Radio Crc, il primo cittadino Luigi Magistris era già pronto a organizzare «qualcosa di significativo» per accoglierla in città.
«Lo ringrazio, gli voglio proprio bene, ma non posso: c'è stato un equivoco, non ho mai detto vengo a Napoli».
L'hanno invitata anche a Cinisi. E a Calimera, ma lì la Lega è insorta.
«Forse vado nella sede radio Out, Peppino Impastato è un riferimento politico che ho nel cuore».
Da Riace a Cinisi sono più di 100 passi.
«Questi 100 passi li facciamo sempre e non arriviamo mai: camminando, ci illudiamo di raggiungere quella civiltà ideale. Ma è straordinario il fiume di solidarietà che oggi attraversa l'Italia e anche a Ginevra sono scesi in piazza».
Chi la sostiene?
«Altri sindaci e persone che ogni giorno credono che sia possibile un'altra dimensione nei rapporti umani».
E i partiti?
«Io non faccio riferimento a loro, sono legato a un ideale politico: l'ultimo partito in cui ho militato è stato Democrazia proletaria».
Salvini ha detto che «non è un eroe». Vuole replicare ancora?
«Lui rappresenta moltissimo l'autorità istituzionale, io niente: sono uno zero assoluto e non posso permettermi. Credo semplicemente di sostenere le istanze dei rifugiati e degli ultimi: appartengo a questa categoria, diversa dalla sua».
Ora, lei si trova a Caulonia, paese di 7000 anime, dove il vicesindaco Domenico Campisi è stato, tra l'altro, guardia medica nella sua Riace. Ma è vero che ha dormito in auto?
«La sera che è arrivata la decisione del Riesame mi è stato detto di prepararmi e andare via da Riace: a una bella notizia, la revoca degli arresti domiciliari, è seguito il provvedimento di non poter più stare lì dove per anni ho condiviso il sogno delle persone arrivate in Italia, ma anche un'idea di riscatto della nostra comunità e di un Sud che cerca di ribellarsi. Amareggiato, sono stato in macchina, una Giulietta che devo pagare a rate, portando con me una borsa con qualche libro e maglione, senza sapere neanche dove andare: la zona non è molto sviluppata, difficile trovare un hotel a quell'ora».
Cosa hanno detto i suoi figli?
«Ne ho tre: Martina era con me, poverina, si è dispiaciuta, ma le spiegato che le sono comunque vicino e ci vedremo sempre».
In giornata ha incontrato il suo avvocato Andrea Daqua, che ha ottenuto la revoca dei domiciliari: ora qual è la strategia difensiva?
«È positivo che siano state considerate le nostre ragioni ma, sin dall'anno scorso, quando mi è stato notificato l'avviso di garanzia, non ho mai portato il ragionamento sul piano politico. Voglio dire che è giusto che la giustizia faccia i suo corso e poi si dimostrerà dove è la verità».
Qual è la sua verità?
«Ritengo di aver fatto sacrifici per inseguire un sogno. Rifarei tutto con entusiasmo, perché ho dato un contributo notevolissimo alla mia comunità contro la rassegnazione, lanciando, almeno per una volta, un messaggio di umanità al mondo. Un motivo di orgoglio».
Resta, però, indagato.
«Eppure, mi chiedo: come è possibile che, con tanti progetti Sprar in Italia, siamo finiti noi sotto inchiesta? È giusto, in senso più generale? Il mondo ha visto in Riace, un paese abbandonato da una classe politica nazionale, che ha trattato il Sud sempre come lo scarto. Noi abbiamo fatto qualcosa di diverso: riscatto sociale, un'avventura antitetica alla criminalità organizzata. Questo, non per trovare una giustificazione ma non si possono comprendere le anomalie burocratiche senza considerare lo scenario».
In una intervista al Corriere il prefetto Mario Morcone, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati, ha detto di averla aiutata tante volte per risolvere la situazione.
«È una persona a cui mi sono affezionato, che si è distinta per umanità, andavo sempre a Roma a trovarlo. Ma, nel 2008, quando c'è stata l'emergenza Lampedusa, lui si rivolse al comune di Riace per l'accoglienza di 400 migranti. Non i venti posti messi a disposizione da Milano. E in una comunità di 500 abitanti. Su sua richiesta, trovai gli alloggi necessari anche nei comuni vicini: il 26 agosto ci fu lunga telefonata, il 28 arrivarono i bus pieni di rifugiati e profughi e, dopo tanti anni, non Morcone ma la prefettura, attraverso una nota, mi ha contestato un fatto penale, cioè di aver fatto gli affidamenti diretti per provvedere alle sistemazioni. Ma in due giorni come avrei potuto organizzare le selezioni e chi mi chiese questo? Lo Stato».
Uno scaricabarile?
«Su di me, in particolare. Lo dico per spiegare come la disponibilità, dopo anni, abbia portato alle contestazioni. Ma per me, dal 1998, è diventata una missione».
Il suo vicesindaco Giuseppe Gervasi ha ribadito che Riace continuerà ad accogliere migranti.
«Com'è stato all'inizio, in modo spontaneo, senza soldi e ghetti, rendendoli protagonisti. Siamo obbligati a fare questo per noi stessi: se tutto finisce e i rifugiati vanno via, il paese tornerà a essere uno dei tanti nelle cosiddette aree interne con destino segnato. Di oblio».
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