Piano di rientro dal deficit della Sanità: ore decisive per la Campania per dire addio a oltre due lustri di misure tese al riequilibrio dei conti in rosso: è in programma oggi a Roma il secondo round, dopo quello di inizio luglio, tra la struttura tecnica della Regione guidata dall’assessore regionale al Bilancio Ettore Cinque e dalla direzione generale del dipartimento Salute Antonio Postiglione e l’unità tecnica interministeriale (Economia e Salute) deputata alla valutazione e monitoraggio. Un faccia a faccia che ha anche risvolti politici come si è visto nelle scintille scaturite nelle occasioni di incontro a Napoli tra il presidente Vincenzo De Luca e Maria Rosaria Campitiello responsabile area prevenzione del Ministero della Salute.
Le carte
Gli emissari di Palazzo Santa Lucia si presentano con un pareggio di bilancio conseguito sin dal lontano 2013 e con un più recente riequilibrio anche sul fronte dei Livelli di assistenza che per la prima volta hanno raggiunto la sufficienza in tutte le aree: ospedaliera, distrettuale e della prevenzione, al netto dei ritardi sugli screening. Anche sul fronte caldo delle Liste di attesa, dell’adozione del Cup unico regionale e del Fascicolo sanitario elettronico la Campania può vantare piccoli primati puntualmente riportati in ogni occasione pubblica dal governatore Vincenzo De Luca a fronte di una dotazione finanziaria, come parte della torta nazionale dei finanziamenti che, nonostante le battaglia condotta in questi anni (anche contro il precedente governo) vede ancora i cittadini campani destinatari della minore quota procapite del Paese.
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In soldoni una penalizzazione di oltre 150 milioni di euro annui. La partita è delicata: la Regione ha infatti provveduto ad allinearsi alle ultime disposizioni ministeriali relative alla chiusura dei centri nascita in deroga che effettuano meno di 500 parti all’anno (le norme nazionali di sicurezza ne richiedono almeno 1000 ma per le zone disagiate è tollerata anche la soglia di 500). Per ottemperare hanno ultimamente chiuso la maternità e nido dell’ospedale di Sapri, Sessa Aurunca e Piedimonte Matese. Allo stesso modo è stata disposta la cessazione delle attività della quota residua di laboratori di analisi con meno di 200 mila prestazioni all’anno.
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Dopo molti anni De Luca ha dovuto porre fine alle tattiche dilatorie volte a salvaguardare chi non voleva adeguarsi e il 30 giugno ha emanato la delibera 423, che obbliga chi nel 2024 non ha raggiunto la soglia di 200 mila prestazioni (esclusi i prelievi) a presentare la documentazione entro il 30 settembre 2025 con la quale si impegna ad aggregarsi. La novità è che chi non ottempera potrà continuare ad operare nel privato. La Campania ha superato il commissariamento nel 2019: la norma prevede un triennio di fuoriuscita prima di superare del tutto i vincoli del Piano di rientro ma il Covid ha allungato questo purgatorio che oggi pesa sulla Campania, soprattutto sul fonte dell’utilizzo di risorse proprie del bilancio per assicurare ai cittadini i cosiddetti extra Lea e anche per rimuovere i paletti alle assunzioni, nervo scoperto (dotazione del 2004 meno l’1,4%) che incide sulla qualità di molte attività che scontano carenze di personale.
I medici
Ad auspicare il disco verde c’è anche l’Ordine dei medici di Napoli: «La sanità campana è ostaggio della politica - avverte il presidente Bruno Zuccarelli - occorre restituire subito l’autonomia alla Regione o si abbia il coraggio di commissariarla di nuovo. A quasi sei anni dalla formale uscita dal commissariamento la sanità campana è ancora prigioniera di una paralisi istituzionale che ostacola l’impiego pieno e legittimo delle risorse regionali». Zuccarelli, parla apertamente di un «inutile braccio di ferro politico» che sta mettendo a rischio la salute dei cittadini. «Se gli standard richiesti sono stati raggiunti, questo diventa un ricatto, non una forma di controllo. L’Ordine dei Medici non fa politica - chiarisce Zuccarelli - ma siamo vicini ai professionisti della salute e ai cittadini ostaggi di questo braccio di ferro». Sull’esito del tavolo di oggi interviene anche Silvestro Scotti (Fimmg) riguardo alla medicina generale: «Il piano di rientro non è un alibi per fermare l’Accordo integrativo regionale né la salute dei cittadini può essere ostaggio di scontri politici».