A giudizio il poliziotto che per soldi
fece sparire la pen drive del boss

A giudizio il poliziotto che per soldi fece sparire la pen drive del boss
di Mary Liguori
Giovedì 30 Maggio 2019, 08:45 - Ultimo agg. 10:12
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Corruzione, peculato, falso. Il tutto aggravato dalla modalità mafiosa. Ma anche una lunga serie di falsi, di accessi abusivi al sistema informatico della polizia e di truffe, venute alla luce dopo che il suo nome fu associato alla fase più controversa della fine della latitanza di Michele Zagaria. Va a processo Oscar Vesevo, il poliziotto collegato alla vicenda della «compravendita» della pen drive del capoclan, sparita durante le operazioni di trivellamento che portarono allo scoperto il bunker sotterraneo nel quale l'ex primula rossa si nascondeva. Dell'esistenza della pen drive, di pietruzze swaroski a forma di cuore, ha parlato anche la vivandiera del boss, Rosaria Massa, registrata di nascosto da due informatori della polizia. Ma ne ha sminuito il contenuto riferendo, quando poi fu interrogata, che contenesse delle foto e dei file di ricerche scolastiche di sua figlia.
 
La pensa diversamente, ormai è chiaro, la procura della Dda che ha chiesto e ottenuto dal gup di Napoli Nord il rinvio a giudizio del poliziotto che fece sparire la penna usb impendendo che fosse sequestrata dai suoi colleghi e che quindi i segreti del boss finissero nelle disponibilità dei magistrati. Secondo l'accusa, rappresentata dal pm Maurizio Giordano, Vesevo si prestò a tutto ciò in cambio di denaro e, dietro pagamento, rimise successivamente la pen drive a disposizione di personaggi strettamente legati al boss, intanto finito al carcere duro.

Una ipotesi, quella dell'esistenza della pen drive, che è già stata oggetto di un processo, concluso con l'assoluzione di Orlando Fontana la persona che, secondo la Dda, pagò il poliziotto per la pen drive. Contro di lui, e contro il poliziotto, ci sono delle intercettazioni ambientali in cui due fratelli, imprenditori dell'Agro aversano, fanno riferimento all'esistenza della usb e ai personaggi che l'avrebbero fatta sparire dal covo del capoclan prima che finisse nelle mani degli agenti della squadra mobile. Il fatto che Orlando Fontana non abbia pagato per riottenere la pen drive, non significa, secondo la Procura, che qualcuno non abbia trattato con un segmento corrotto della polizia perché il supporto informatico restasse al sicuro e, soprattutto, tornasse a dispozione di gente vicina al boss.

La sentenza assolutoria emessa a favore di Orlando Fontana, evidentemente, non implica che la vicenda della pen drive non si sia verificata né che il poliziotto, tutt'ora in servizio ma non alla Mobile di Napoli, possa aver trafficato in favore del capoclan. Il giudice per l'udienza preliminare ha deciso che debba esserci un processo. Una scelta in controtendenza dal momento che il gip, nel 20016, respinse la richiesta d'arresto per l'agente per carenza di indizi di colpevolezza e il tribunale del Riesame si espresse nella stessa direzione. A ottobre inizierà il dibattimento che stabilire una verità giudiziaria per l'ennesimo giallo che riguarda un capo del clan dei Casalesi.
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