Carcere di Santa Maria Capua Vetere:
nuova inchiesta: ​referti medici soft

Carcere di Santa Maria Capua Vetere: nuova inchiesta: referti medici soft
di Mary Liguori
Mercoledì 7 Luglio 2021, 08:00 - Ultimo agg. 8 Luglio, 08:35
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Nove giorni dopo i pestaggi un medico refertò sinusite a uno dei detenuti che aveva subito le peggiori percosse il 6 aprile del 2020. Emerge dai verbali di uno dei detenuti che ha consentito agli inquirenti di identificare buona parte dei picchiatori del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Un uomo ridotto talmente male che, quando in carcere arriva il magistrato di sorveglianza che con la sua relazione consentirà alla Procura di aprire l'inchiesta esclamerà: «Marco Puglia ce lo ha mandato Gesù». Ma anche dopo l'ispezione del magistrato, quando gli agenti e i dirigenti della penitenziaria coinvolti nel massacro avevano ormai chiaro che sulle violenze erano in corso delle indagini, la macchina delle pressioni e dei soprusi non si fermò. Al contrario, la morsa si strinse ancor più intorno ai detenuti che avevano fatto trapelare la notizia dei pestaggi. Un epilogo inevitabile dal momento che, nonostante l'indagine in corso, almeno in un primo momento, aguzzini e vittime furono lasciati tutti a Santa Maria Capua Vetere. E fu così che, nelle settimane seguenti la rappresaglia al reparto Nilo, gli agenti della penitenziaria cercarono di coprire le tracce del raid punitivo, esercitando pressioni finanche sui medici. Lo racconta uno dei detenuti ridotto peggio dopo le violenze che, secondo quanto riferito da altri carcerati, dopo le botte vomitava sangue. «Il 25 aprile, - è agli atti - sono stato sottoposto, su mia richiesta, a una visita del medico del carcere perché soffrivo di emicrania, disturbi alla vista, capogiri e perdita di sangue dall'ano e da un orecchio. Gli ho riferito i fatti del 6 aprile. Il medico chiese l'intervento di un'ambulanza esterna, ma il medico a bordo, quando arrivò, prima di visitarmi, interloquì con un ispettore e con un dirigente sanitario dopodiché in pochi secondi mi diagnosticò una sinusite di cui non ho mai sofferto. A quel punto l'agente mi disse che mi avrebbero denunciato per diffamazione perché nel referto non avrebbero trovato i sintomi che invece io accusavo da quando mi avevano picchiato». 

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Presunte complicità, dunque, dentro il carcere e fuori, sulle quali la Procura sta tentando di fare luce. Ci furono molti altri episodi analoghi. «Ti ricordo che qua dentro ci devi restare altri tre anni», la minaccia di un brigadiere che i detenuti chiamano Penna Bianca poi identificato in Felice Savastano, tra gli arrestati e considerato nella squadretta che picchiava i detenuti nel gabbione, una sorta di cella zero. Nelle settimane a seguire, gli agenti continuarono a tentare fare in modo che i detenuti ritrattassero. Anche dopo che l'indagine era ormai ufficiale, quando decine di detenuti furono condotti in ospedale, a Caserta, per le radiografie che provarono fratture alle costole, alle gambe, alle braccia. «Non vi preoccupate - diceva Pasquale Colucci ai suoi, il capo della task force mandata all'Uccella da Fullone - Non ci succederà nulla, hanno già dichiarato che sono caduti dalle scale». 

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