Carcere Santa Maria Capua Vetere, via al processo per i pestaggi: alla sbarra 105 imputati

Riapre l’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere nota come «Spartacus»

Un frame dei pestaggi all'interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere
Un frame dei pestaggi all'interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere
di Biagio Salvati
Domenica 6 Novembre 2022, 23:00 - Ultimo agg. 7 Novembre, 19:19
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L’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere dove 24 anni fa iniziò il maxi-processo alla camorra del clan dei Casalesi, noto come «Spartacus», questa mattina tornerà a pullulare di imputati e toghe per un nuovo processo riguardante le violenze ai danni dei detenuti avvenute proprio nell’adiacente penitenziario il 6 aprile del 2020. Centocinque imputati, tra poliziotti penitenziari, medici e funzionari del Dap, compariranno davanti ai giudici della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere per la prima udienza di un processo che si preannuncia epocale dal momento che, in qualche modo, è sotto accusa anche una sorta di «sistema» usato dagli agenti penitenziari, ciò stando alle accuse nate da testimonianze e dalle immagini catturate dalle telecamere di sicurezza del penitenziario. Per l’occasione, appena tre giorni fa, quell’aula ed una più piccola attigua in cui si celebrò il processo ai «Casalesi», sono state consegnate dopo una ristrutturazione ed un adeguamento tecnologico durato tre mesi. A fine processo «Spartacus», nel 2005, erano diventate oramai inutilizzabili o usate per attività di poco conto, subendo infiltrazioni dal tetto ed assumendo un aspetto fatiscente, finendo così in uno stato di abbandono. Lo spazio, oggi, è però sufficiente per ospitare un nuovo processo con numeri da capogiro dove tra avvocati (almeno 100), parti civili (177), cancellieri e forze dell’ordine si supera abbondantemente il numero degli imputati, per un totale di oltre trecento persone. Per loro, ci sarà un’aula da 600 metri quadrati con 400 posti a sedere, 120 postazioni con microfono, un maxi-schermo e diverse tv per una visione completa e uniforme. Almeno duecento persone saranno sistemate in massima parte nella grande aula (la B2) e il resto nella più piccola (la B1), con 120 posti a sedere e collegata in videoconferenza con la «sorella maggiore». 

Le due aule bunker, insieme agli altri locali dell’edificio che le ospita, sono state ristrutturate nel tempo record di due mesi dal Ministero della Giustizia con un spesa di 600mila euro (400mila per la parte impiantistica, 200mila per quella edile). Nel frattempo, la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, ha individuato altri cento poliziotti penitenziari che potrebbero finire imputati nello stesso maxi-processo. Nessuno, avrebbe mai immaginato che a finire processati in queste aule del carcere, sarebbero stati gli agenti che per anni sono stati addetti alla sicurezza o alle traduzioni degli imputati reclusi nel carcere sammaritano. Il processo denominato «Mezzarano (dal nome del primo imputato, N.d.R.) più altri», sarà celebrato dalla Corte presieduta dal giudice Roberto Donatiello (a latere Alessandro De Santis). Tra gli imputati l’ex comandante della Polizia Penitenziaria del carcere Gaetano Manganelli, l’ex provveditore Antonio Fullone due medici; Pasquale Colucci, comandante del gruppo di «Supporto agli interventi»; Tiziana Perillo, comandante del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti di Avellino; Nunzia Di Donato, comandante del nucleo operativo «Traduzioni e piantonamenti» di Santa Maria e Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo e altri.

Ministero di Giustizia e Asl di Caserta compariranno nella doppia veste di parti civili e responsabili civili. 

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I reati contestati a vario titolo sono tortura pluriaggravata, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità contro detenuti, perquisizioni personali arbitrarie, falso in atto pubblico anche per induzione, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni di segreti d’ufficio, omessa denuncia, e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni di un detenuto algerino Hakimi Lamine, deceduto nel carcere un mese dopo le violenze.

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