Le mani dei Casalesi sul Veneto
tra lire, bolivar e dinari iracheni

Le mani dei Casalesi sul Veneto tra lire, bolivar e dinari iracheni
di Mary Liguori
Giovedì 21 Febbraio 2019, 08:05 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 17:54
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L’inchiesta della Dda di Venezia alza il velo su business di ultimissima ora gestiti dalla camorra in Veneto. Non solo gli impianti di biogas, costruiti grazie a politici compiacenti anche in Friuli, spinti da procedure semplificate firmate dai sindaci amici, come quello di Eraclea, arrestato con i camorristi due giorni fa, ma anche il traffico di denaro contraffatto e il riciclaggio di soldi sporchi negli Emirati Arabi. Lo spaccato che s’evince dalle 998 pagine spiccate dal gip di Venezia è quello di un boss capace non solo di controllare l’economia in Veneto, di sponsorizzare e fare eleggere amministratori pubblici, di tenere a busta paga dirigenti di banca e avvocati, ma anche di valicare i confini nazionali per piazzare soldi falsi in valuta straniera. Il pm Roberto Terzo della Procura lagunare è stato in grado di ripercorrere il giro che Luciano Donadio, dominus della camorra in Veneto è riuscito a mettere in piedi servendosi di esperti commercialisti, anche all’estero. E, a leggere le conclusioni del gip Marta Maccagnella, da Casal di Principe al Principato di Dubai è stato un passo. Tanto che, sostiene, puntualmente intercettato, Donadio: «Tra i miei contatti a Dubai ci sono persone che curano le finanze dello sceicco». Parla del principe arabo? A quanto pare, sì. «Noi, - continua il suo commercialista di fiducia, Angelo Primo Di Corrado, tarantino - trasformiamo denaro liquido in denaro liquido bancario». Le prime tracce della ipotetica capacità dei Casalesi di riciclare «anche 500 milioni di euro» a Dubai risalgono alla primavera del 2016. È in quel periodo che le cimici di polizia e guardia di finanza intercettano Donadio mentre con Di Corrado e altri soggetti parla dei suoi affari arabi e si dice capace di riciclare milioni di euro negli Emirati. Un business che gestisce con tutte le garanzie: «il denaro è assicurato», sostengono gli indagati che spiegano: «Ci presentiamo in ufficio... a Parigi... ritiriamo i 5 milioni... prima di liberare i soldi sono disposti ad accompagnarci dappertutto... e ce li portano dove vogliamo»: parola di Di Corrado. È a quel punto che Donadio si gioca l’asso: «Devi parlare con uno importante... è quello che tiene la contabilità del principe di Dubai». Clamoroso, indagini in corso, è tutto da verificare. Nel resto della conversazione si parla anche delle modalità di garanzia: durante il deposito del denaro, «un uomo nostro resta con i clienti e uno del gruppo loro resta noi». «Così non ci sono problemi», spiega Di Corrado che illustra un pacchetto completo, un servizio che include anche la protezione del denaro.

Ma non c’è solo il denaro vero tra i business che, dal 2016, i Casalesi del Veneto avrebbero messo in piedi. C’è, infatti, anche il traffico di valuta estera contraffatta che Donadio gestirebbe assieme a un gruppo di siciliani e di calabresi. Nelle intercettazioni si parla di lire, bolivar e di dinari iracheni, «cavalli e rossi», entrati in vigore dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Donadio è a capo dell’intera gestione e si serve di una banca in Austria che, consapevolmente, farebbe girare i soldi falsi. Un’altra parte del denaro contraffatto verrebbe invece messo in circolo attraverso contatti del Trentino. La percentuale di guadagno di cui parlano gli indagati è del 40 per cento. 

Le conversazioni che aprono l’ennesimo scenario investigativo sono intercorse tra Donadio, Di Corrado, Claudio e Umberto Casella, entrambi di Brescia, Tommaso Pizzo, di Marsala, Costantino Positò, di Cosenza. Un gruppo variegato sia nei ruoli che per provenienza geografica che si coalizza intorno al leader indiscusso, il campano Donadio. Ché, nel Veneto, il boss è lui E forse anche altrove.
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