Casalesi, il processo Proclama
trasferito da Roma a Firenze

Casalesi, il processo Proclama trasferito da Roma a Firenze
di Gigi Di Fiore
Lunedì 21 Giugno 2021, 08:43 - Ultimo agg. 22 Giugno, 19:35
4 Minuti di Lettura

Non c'è pace per il processo del cosiddetto «proclama» letto in tribunale il 13 marzo 2008 dall'avvocato Michele Santonastaso, difensore di Francesco Bidognetti e Antonio Iovine due dei boss dei Casalesi. Il primo è da anni in carcere, il secondo è diventato collaboratore di giustizia da anni in carcere. Era in realtà una richiesta di «legittima suspicione», presentata ai giudici della prima sezione di corte d'assise d'appello napoletana, per trasferire quel processo contro 31 imputati del clan dei Casalesi, per «mancanza di serenità» legata a «ostilità ambientale e prevenzione dei giudici». Ma l'avvocato volle leggere il suo atto giudiziario, a nome dei suoi due assistiti, in aula, quando poteva limitarsi a depositarlo. Nel testo c'erano apprezzamenti e giudizi sul lavoro di giornalisti e magistrati. Fu considerato un «avvertimento» dei boss e venne aumentata la scorta a Roberto Savano, assegnandone una per la prima volta alla giornalista del «Mattino», Rosaria Capacchione.


Il «proclama» generò due processi, con parti civili diverse. Dopo l'annullamento in Cassazione della condanna a Napoli, il processo a Santonastaso venne rinviato a Roma.

E, poco meno di un mese fa, la corte d'appello ha condannato l'avvocato a un anno e due mesi. La novità della sentenza romana è stata la condanna anche per il boss Bidognetti, escluso dalla decisione dei magistrati napoletani, a un anno e mezzo. Se c'era la sua firma sull'atto giudiziario, ne condivideva il contenuto è stato il senso della seconda sentenza. Chiare, da collaboratore di giustizia, le dichiarazioni di Iovine che ha sempre ripetuto di non essersi mai preoccupato né dato peso a giornali e libri.


Una seconda parte del processo ha per parti civili i magistrati Federico Cafiero de Raho, oggi procuratore nazionale antimafia e a lungo coordinatore della Dda napoletana con competenza sui Casalesi, e Raffaele Cantone, oggi procuratore capo a Perugia ma a lungo sostituto alla Dda napoletana con Cafiero.


Per la loro attività, il processo era stato trasferito da Napoli a Roma. Ma, ben tredici anni dopo la lettura dei «motivi scritti a sostegno della richiesta di rimessione formulata ex articolo 45 e seguenti», ribattezzato «proclama», i giudici della terza sezione penale della corte d'appello di Roma hanno dichiarato la loro «incompetenza funzionale» trasferendo gli atti a Firenze. La decisione è stata presa dopo una serie di rinvii legati al Covid. Anche in questo secondo processo, l'avvocato Santonastaso arriva con una condanna in primo grado di cinque anni e mezzo per diffamazione e calunnia aggravate dal metodo mafioso mentre, proprio come nell'altro processo, il boss Bidognetti era stato assolto per non aver commesso il fatto. Evidente che, limitando la condanna al solo avvocato, viene meno il legame intimidatorio e mafioso con il suo assistito, uno dei boss più spietati al vertice dello storico clan dei Casalesi.

Un clan oggi disarticolato e senza capi di peso, finiti tutti in carcere o collaboratori di giustizia. I due trasferimenti del processo con parti civili i magistrati Cantone e Cafiero de Raho sono stati naturalmente legati alle loro funzioni. Se in un processo è coinvolto, anche come parte civile, un magistrato in servizio a Napoli, la competenza è a Roma. Ma se i magistrati lavorano a Roma, come il procuratore nazionale antimafia, o a Perugia, come Cantone, la competenza si sposta a Firenze. Da qui i trasferimenti.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA