«No alla revoca del 41bis
a Schiavone-Sandokan»

casalesi, la sentenza «No alla revoca del carcere duro a Sandokan»
casalesi, la sentenza «No alla revoca del carcere duro a Sandokan»
Venerdì 19 Gennaio 2018, 17:04 - Ultimo agg. 20:47
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È rinchiuso in un’area riservata del carcere, sta male e fa uso di psicofarmaci, stando ai ben informati. Ma non riesce a ottenere la revoca del 41 bis, il carcere duro destinato ai mafiosi assassini. Ai boss, per intenderci. Anche stavolta, il capo dei capi del clan dei Casalesi, Francesco Schiavone «Sandokan», si è visto «bocciare» la richiesta di revoca del carcere duro dalla corte suprema di Cassazione, relatore il consigliere Raffaello Magi. «Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di duemila euro». Dunque, Schiavone pagherà anche le spese.
Ma perché il 41bis al boss non può essere tolto?
Lo spiega bene la sentenza: «L’organizzazione mafiosa di provenienza è ancora attiva nella provincia di Caserta e in altre parti del territorio nazionale. Il ruolo di vertice ricoperto da Schiavone, condannato in via definitiva per il reato associativo e diversi episodi di omicidio, risulta ricoperto anche in costanza di detenzione (sino al 2005) come emerge da decisione di merito recentemente emessa - scrive la Cassazione - anche la condotta tenuta nel periodo di restrizione risulta non immune da episodi allarmanti». In effetti, nel periodo in cui erano liberi i figli Nicola e Carmine, vennero segnalati dei «messaggi» in codice con i gesti durante i colloqui di Francesco Schiavone Sandokan, nel periodo soprattutto in cui era libero il killer Giuseppe Setola. Ma per la difesa, rappresentata dal legale Mauro Valentino, «il Tribunale di sorveglianza di Roma ha omesso di esaminare una doglianza in tema di detenzione in ‘area riservata’, aspetto ulteriormente afflittivo e non coperto da previsione di legge». Area riservata è una zona del carcere isolata rispetto alle altre. Francesco Schiavone condivide solo un’ora d’aria, nel carcere di Parma, con gli altri detenuti. Per il resto, è rinchiuso nella sua cella a non far nulla. Tutto il giorno. Il metodo duro del 41bis è stato il motivo per cui ha gettato la spugna, definendosi «dissociato», il cugino del capoclan e suo omonimo: Francesco Schiavone detto «Cicciariello». «Non sentivo alcun rumore quando ero in cella - aveva spiegato ai giudici «Cicciariello» - nemmeno una porta sbattere o una persona chiacchierare. Stavo impazzendo». Il cugino, invece, Schiavone-Sandokan, ha scelto di restare un capo, ma vuole una misura detentiva più leggera. E invece no, per gli ermellini di piazza Cavour non c’è spazio per questa richiesta. «Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti».
Prevenire è meglio che curare, dunque. «È evidente che l’applicazione della norma in parola non richiede un pieno accertamento della perdurante condizione di affiliato al gruppo criminoso (dato che ciò presuppone l’individuazione, in sede processuale, di un effettivo contributo arrecato all’attività del gruppo), nè impone una valutazione di pericolosità intesa come capacità di commettere azioni delittuose. Ciò vuole essere contenuto attraverso la particolare azione preventiva e inibitoria insita nell’adozione di limitazioni alle ordinarie regole di trattamento penitenziario. Si tratta, pertanto, di una tipica valutazione in fatto».
Insomma, niente da fare. Francesco Schiavone «Sandokan» dovrà curarsi fra le quattro mura della sua cella.
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