Caserta, per l'«inchino» della Madonna
il boss regalò alla chiesa un campo di calcetto

Caserta, per l'«inchino» della Madonna il boss regalò alla chiesa un campo di calcetto
di Mary Liguori
Venerdì 5 Giugno 2020, 08:33 - Ultimo agg. 09:24
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L'accordo, a leggere le deduzioni della Dda, è un tipico esempio di do ut des. Da un lato la camorra, dall'altro una parrocchia. In mezzo, la Vergine delle Grazie, oggetto di scambio, che avrebbe fatto sosta e inchino sotto casa del capoclan per un campo di calcetto costruito dietro la chiesa di Santa Barbara a Caserta. Camorra spa e «infrastrutture» in cambio di omaggi sacri. Eccolo il retroscena del clamoroso «inchino» della Madonna davanti casa di Concetta Buonocore, nel luglio del 2017. Ne parla il reggente, genero del boss Antonio Della Ventura, Michele Maravita. In una delle conversazioni intercettate, il giovane camorrista invita un tale Alfonso per l'indomani alle 11 «per quando arriva la Madonna fuori casa per fare l'inchino» e gli dice che farà «sparare i fuochi d'artificio in giardino». Poi racconta di quando «è arrivato questo nuovo prete, don Franco» che «il primo anno non sapeva che doveva portare la Madonna a casa nostra e mia suocera ha preso l'auto e ha fermato la processione e l'ha obbligata a entrare. Poi è andata a parlare con il prete e ha contribuito a far costruire il campo di calcetto dietro la chiesa». I parrocchiani, comunque, ci tengono a precisare che il campo, costato 12mila euro, è stato finanziato da una famiglia perbene del posto, al cui figlio è intitolato, ma ammettono: «anche Maravita ha donato una piccola somma per la ristrutturazione avvenuta quando c'era l'altro parroco». Il tutto per l'«inchino», simbolo di potere.

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Grazie alle immagini acquisite dai carabinieri, diretti dal maggiore Giorgio Guerrini, è emerso che la deviazione della processione ci fu e che ci fu pure l'«inchino» annunciato da Maravita, ma è emerso anche che dietro gli accollatori, il prete e la banda di musica, c'era una rappresentanza del Comune di Caserta. Ma l'uomo ritratto in quelle brutte immagini non è il sindaco Carlo Marino, come erroneamente riportato agli atti dell'inchiesta, bensì l'assessore al Patrimonio, Alessandro Pontillo, snello e alto come il primo cittadino tanto che, si legge agli atti, «le immagini hanno consentito di evidenziare come, nel corteo, sia presente il sindaco di Caserta, dottor Carlo Marino, ben riconoscibile dalla fascia tricolore indossata». Ma non era Marino colui che accompagnò la Madonna per le strade del quartiere. Era Pontillo, lo ha chiarito ieri il sindaco specificando che, essendo l'assessore originario proprio della frazione di Santa Barbara, vestì la fascia in occasione della processione, ma restò fuori dalla traversa privata mentre l'immagine venerata dall'intero quartiere veniva condotta nel fortino del clan, poi confiscato nel corso proprio dell'amministrazione Marino, e oggi sede della Croce rossa. Come poteva, Pontillo, non sapere che quella tappa era una «dedica» alla malavita? «Ero emozionato e distante dal punto in cui si sarebbe tenuto quest'inchino, non vidi nulla, restai in via Petrarelle - si giustifica l'assessore - Non so come sia potuto accadere, non conosco i membri del comitato festa. Sono amareggiato e chiederò spiegazioni al prete», annuncia. E le spiegazioni saranno necessarie visto che, oltre all'offerta, «mettiamo 50 euro nella busta» dice la moglie di Maravita e il marito gliene dà 100, in cambio dell'inchino, il boss avrebbe fatto edificare il campetto di calcio della chiesa, come un Escobar di noialtri. Il motivo? Gli indagati lo ripetono più e più volte, Concetta Buonocore, la donna che avrebbe comandato anche dalla cella, «ci teneva da sempre molto che la Santa passasse sotto casa sua». E i video provano chiaramente che l'inchino ci fu e che la sosta durò la bellezza di 22 minuti: dalle 11 e 41 alle 12 e 03. E, specifica il giudice, «avvenne tutto con il consenso del parroco».
LA RETE DEL NARCOTRAFFICO
È un clan, quello scompaginato due giorni fa, che sarebbe riuscito a svincolarsi del tutto dalla «piovra» dei Belforte di Marcianise, e a legarsi ad altri e più potenti cartelli del narcotraffico. Di qui, probabilmente, la imponente disponibilità economica degli indagati. Emergono, dall'ordinanza, legami con il clan napoletano degli Aprea. Michele Maravita ha ospitato per lungo tempo il figlio di Maria Rosaria Aprea dopo l'omicidio del marito, Ciro Abrunzo il «cinese». Ma non è tutto. Tra le amicizie del ras anche quella con la figlia di Vincenzo Murolo, capozona dei Licciardi ai Colli Aminei. Una rete, quella intessuta da Maravita, che avrebbe dovuto garantire prosperità alla cosca grazie a gente che tiene «500 uomini», parola sua.
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