Nella città che ha sempre messo nel campo della crescita edilizia al primo posto la realizzazione del nuovo, il che in parte è anche giusto, non si è mai posta la dovuta attenzione a quel che di vecchio e antico si poteva recuperare. Un solo caso, il recupero della Caserma Sacchi a Falciano, restaurata dal Comune e destinata agli uffici dell'anagrafe. Occupata soltanto in parte però e questa, per la pessima manutenzione, già avviata al deperimento. Crolli a ripetizioni di edifici maltenuti, anche abitati, nel centro urbano e in periferia e nelle borgate, tanti gli esempi in parte riportati nella recente cronaca del parziale crollo dell'edificio di via Sant'Antonio a San Benedetto.
Fatiscenze private, responsabilità di proprietari ai quali non è stato mai imposto c'è da ritenerlo per le perduranti condizioni di precarietà il risanamento. Si provvede al sequestro giudiziario, recinzioni e transenne e palizzate, disagio per i cittadini. In via Acquaviva, subito dopo l'incrocio con via Vivaldi, una delle ultime tabelle racconta del sequestro avvenuto in data 19 ottobre 2019 senza nessun'altra conseguenza. Edifici di proprietà demaniale, in gran parte ex caserme ed ex stabilimenti militari, non se le passano meglio, vendite all'asta finite nel nulla di fatto, fatiscenza evidente e sempre più progressiva.
Eppure si tratta di edifici che ben si sarebbero potuti recuperare, restaurare e destinare ad uso museale, didattico, laboratoristico e altre iniziative culturali, anche e beneficio di associazioni che non hanno sede adeguata. In via Ferrarecce, contrassegnato col numero civico 156, l'ex stabilimento militare per la produzione di calzature per le forze armate è un complesso che si sgretola e si trova lungo il tratto di strada che porta alla frazione San Benedetto.
Altro esempio di disinteresse per questi edifici che non hanno nulla di monumentale è vero ma un valore storico di architettura militare certamente sì e sono stati sempre ignorati dopo la dismissione: la successione di fabbricati degli ex mulini militari nella strada che ne porta il nome. Che è quella parallela a via Tescione, che si imbocca dal ponte di Sala e arriva in via Sardegna per il prosieguo in via Camusso per il centro o per la frazione Ercole. Casermette del tipico colore rossiccio, finestre sbarrate, portoni con robusti catenacci, sgretolamento di intonaci, dai tetti sfondati si fanno largo alberi d'alto fusto. Ci sono ancora i cartelli tipici degli insediamenti militari, «Alt, fatevi riconoscere» di quando c'erano sentinelle e corpi di guardia. Hanno una loro storia questi edifici, un peccato dimenticarla e non tramandarla con un uso adeguato ai tempi ma nel rispetto delle strutture architettoniche. Cose di poco conto, a Caserta si preferisce straparlare del Macrico, area del costo di milioni che nessuno è in grado di offrire. Degli edifici dismessi più accessibili, il disinteresse è completo.