C'era una volta corso Trieste:
30 negozi chiusi nel cuore di Caserta

C'era una volta corso Trieste: 30 negozi chiusi nel cuore di Caserta
di Franco Tontoli
Venerdì 24 Maggio 2019, 08:31 - Ultimo agg. 11:43
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Corso Trieste e le sue tristezze, la strada principale della città un tempo animata da vivacità commerciale, oggi una fettuccia stradale di transito per pochi pedoni e parecchie auto, anche se la Ztl dei cartelli continua e millantarla zona di passeggio mentre è soltanto di passaggio perché che hai da passeggiare davanti a una fila di vetrine abbrunate e saracinesche ormai blindate con erbaccia sulla soglia? «Liquidazione totale per cessata attività», eccola la dicitura adatta sullo stemma araldico del settore commerciale della città di Caserta, quel terziario una volta colonna portante dell'economia cittadina che per tanti motivi è andata a rotoli. E continua a rotolare.

Un censimento fatto ieri alle 14.30, tranne qualche disattenzione veniale annotiamo sui due lati del Corso, dal Monumento ai Caduti a piazza Dante, 146 vani di cui 116 attivi, 30 chiusi. I vani attivi, però, non sono soltanto negozi, una trentina sono di banche, uffici finanziari, agenzie di assicurazioni che sono concentrati per la maggior parte dall'inizio del Corso. In questo primo tratto esercitano anche, in virtù del movimento assicurato dalle attività della «city», alcuni bar, tre esercizi per pasti veloci, un paio di ristorazione tradizionale di cui uno che cambia ragione sociale e caratteristiche ogni sei mesi.
 
La mestizia comincia dall'incrocio con via Colombo, il segmento più lungo dell'angolo retto che portava a piazza Vanvitelli, percorso delle «vasche», del passeggio quando lo «struscio» aveva motivo di essere praticato. La successione di negozi chiusi è impressionante e deprimente, a carte quarantotto sono finite recenti iniziative di rianimazione, la concentrazione di bar e ristoranti in quella che una volta era la «Galleria del Corso», scintillìo di cristallerie e arredi, nemmeno un anno e tutto chiuso. Ora l'androne fa da ricovero notturno a un clochard e ai suoi quattro cani, delizia degli abitanti del vicinato. Ci sono tratti di questo segmento caratterizzati dalla successione ininterrotta anche di cinque negozi chiusi per cessata attività. Per «trasferita» attività anche il palazzo della Provincia, imponente e deserto, prima alimentava bar che hanno chiuso. Questo tristissimo argomento non è più da inchieste finalizzate alla ricerca di soluzioni che non ci sono.

In tanti anni di sfacelo, una tela che si sfilacciava sotto gli occhi indifferenti di tutti, a cominciare dagli stessi commercianti per finire ai pubblici amministratori, mai una iniziativa, uno studio, una tavola rotonda che se ne fanno a volontà, tante banalissime. Mai la richiesta di un progetto a un urbanista, possibilmente niente sogni da archistar, progetti buoni per riviste accademiche ma tutta praticità e concretezza. Diciamo questo ricordando le avveniristiche progettualità di un architetto famosissimo che aveva disegnato il corso Trieste tutto di fontane e zampilli e muraglioni d'acqua, progettazioni da «paese delle meraviglie» e non per noi cittadini casertani in cerca di normalità vivibile e non di anormalità da sopportare. Luigi Nittoli, un commerciante i cui figli continuano un'attività tra corso Triste e via San Giovanni datata 1883, giocattoleria, valigeria, pellami. Da un anno in qua Luigi è costretto a vedere con gli occhi degli altri, della moglie Anna Veccia, altra esponente di una ditta di panificazione antichissima, e dei figli. «Ma dice avendo visto, dai racconti è come se continuassi a vedere. E che vedo del commercio cittadino? Tristezza e malinconie, siamo a un punto di non ritorno. Noi commercianti ci siamo fatti penalizzare dai megacentri commerciali delle periferie, poi è venuta la crisi generale che ha trovato terreno ancora più fertile. Poi è venuta una Ztl inefficace, una parvenza di vivere civico che è stata una mannaia per tutti noi».

Il Corso, con le sue fatiscenti pedane, mette tristezza, non saranno le sagre di friggitorie, gelaterie, cioccolaterie a rianimarlo perché la gente viene, mangia, passa e non entrerà mai nei negozi superstiti. Luigi Nittoli conclude: «La Ztl non ha portato benefici, perché non abolirla? L'aria del Corso non risulta sanata, le auto affollano le strade parallele e perché avvelenare chi vi abita? Un po' ciascuno, come una volta, e se ne gioverebbe il commercio».
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