«Avevo paura, al maneggio
andavo con un cacciavite»

«Avevo paura, al maneggio andavo con un cacciavite»
di Mary Liguori
Giovedì 3 Ottobre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 10:11
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Mara guarda l'obiettivo con gli occhi spalancati, il visino teso, le labbra contratte. Fissa dritto davanti a sé e non si ferma neanche quando il pm, con l'aiuto della psicologa, la invita a soffermarsi sulla parte più drammatica degli abusi sessuali che avrebbe subito mentre era a lezione di equitazione. «Mi ha spinta per terra, fino a quel momento non era mai arrivato a tanto. Pensai che mi avrebbe violentata, si è strusciato contro di me, ero terrorizzata, speravo che qualcuno venisse a salvarmi, ma improvvisamente si è fermato, da solo, io mi sono alzata e sono andata verso le stalle dove c'erano le altre allieve. Da quel giorno, al maneggio, ci sono andata con un cacciavite in tasca: volevo difendermi».
 
L'audizione protetta di Mara (il nome è di fantasia) è una delle sette raccolte dal pm Annalisa Imparato della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Una delle sette drammatiche denunce che, da due giorni, tengono agli arresti il proprietario di una scuola di equitazione del Casertano con le accuse di violenza sessuale sulle sue allieve minorenni. Il magistrato della Procura diretta da Maria Antonietta Troncone ha ascoltato Mara e le altre ragazzine con le modalità protette e l'ausilio degli psicologi. Ogni testimonianza è stata filmata. Ogni parola registrata. Il terrore delle vittime, una delle quali si è sentita talmente sola da pensare di «armarsi» di cacciavite, ha tratteggiato un quadro nitido, un racconto corale che, secondo il gip Nicoletta Campanaro, «è coerente e solido» da giustificare la misura cautelare ai domiciliari, ma non il carcere come aveva chiesto il pm. Agli atti ci sono solo le denunce delle vittime, che descrivono palpeggiamenti, baci rubati, parti intime strofinate a forza contro i loro corpicini. I loro narrati coincidono sotto tutti gli aspetti. Ed è questa la forza della tesi accusatoria.

Gli abusi si sarebbero consumati lontano dalle aree videosorvegliate del maneggio, ma non dagli altri adulti che lavorano nel centro ippico, tutt'ora aperto. Altri sapevano. Più di una vittima sostiene di essersi rivolta agli istruttori, di aver chiesto aiuto, e di essere stata zittita. Su questo aspetto le indagini sono in corso, ma è chiaro che il numero di indagati è destinato ad aumentare. E poi gli investigatori intendono chiarire come è stato possibile che nessun genitore si sia accorto dell'incubo in cui erano piombate le loro figlie. Certo, le minacce del presunto orco, che avrebbe detto alle ragazzine «taci, tanto nessuno ti crederà», potrebbero avere inibito le giovanissime vittime e aver impedito loro di parlare con i genitori.

Il gip ha accolto in toto gli elementi raccolti dalla squadra mobile di Caserta, diretta da Davide Corazzini dopo la segnalazione del Telefono Azzurro, e ha definito «coerente e solido» l'impianto messo insieme con le sole denunce delle vittime. Ma se da un lato ci sono i filmati in cui sette ragazzine, tra i sette e i sedici anni, con la telecamera puntata addosso, descrivono mesi di abusi sessuali, dall'altro lato c'è un uomo di cinquantasette anni, padre di tre figli, ai domiciliari con l'accusa più infamante che, ieri, si è difeso nel corso dell'interrogatorio di garanzia, e ha spiegato di essere stato frainteso, che se ha toccato le ragazzine è stato solo per favorire il loro approccio con i cavalli durante la fase di accoglienza delle allieve alle prime armi. L'avvocato del 57enne, Giuseppe Dessì, prepara il ricorso al Riesame. L'indagato respinge le accuse e chiederà di essere liberato.
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