Voti comprati dal clan Belforte:
«Portate anche gli zingari ai seggi»

Voti comprati dal clan Belforte: «Portate anche gli zingari ai seggi»
di Mary Liguori
Mercoledì 6 Febbraio 2019, 13:00 - Ultimo agg. 18:15
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Da un alto si piegano e tacciono, dall'altro ammiccano e si adeguano. Perché così fan tutti e se cambi registro ti tagliano fuori. È il sistema e, dopotutto, è irresistibile. Ma non sempre vince perché se, come sostiene la Dda, nel 2015 s'è fatto mercimonio di voti a Caserta, comprati a botta di buoni pasto o benzina o con banconote da 20 euro, è altrettanto vero che nessuno degli arrestati accusati d'aver pagato per comprare un posto a Santa Lucia è riuscito a farsi eleggere. Qualcuno di loro, per la verità, ci è andato molto vicino, come Lucrezia Cicia, prima dei non eletti in quota Forza Italia. Per la Dda il suo successo elettorale, 12.285 preferenze, fu anche frutto di tre assegni staccati per acquistare un consistente pacchetto di voti. Prezzo modico: 11.500 euro. Che avrebbe recuperato in un paio di mesi se fosse entrata in Consiglio regionale. Un investimento sicuro, dunque.
 
A leggere l'ordinanza spiccata dal gip Piccirillo, qualunque fosse il partito col quale i candidati correvano, nel 2015 fu uno solo il santo cui votarsi: il capozona del clan Belforte. Che di cognome fa Capone, come Al, ma si chiama Agostino e gestiva l'agenzia Clean Services di Marcianise, unica deputata ad attaccare i manifesti elettorali. Se no, erano guai: minacce agli attacchini e manifesti stracciati o coperti da altri faccioni. Squadrismo che chi sta in politica ben conosce tanto che tutti, dalla stessa Lucrezia Cicia, da un lato vittima dall'altro indagata, a Francesco De Michele attuale vicesindaco di Caserta, tessera del Pd, al consigliere regionale Luigi Bosco di Campania Libera, si sono piegati. Hanno pagato e taciuto e, anche quando i carabinieri li hanno interrogati, hanno affermato che no, quelle dei compari di Capone non erano minacce. C'è anche chi non è indagato, ed è stato eletto, e viene tirato in ballo nelle intercettazioni, come Giampiero Zinzi. «Eh mo... li stanno cacciando pure Zinzi, Zinzi pure ha dato i buoni, i buoni benzina»: emerge da un'intercettazione tra Capone e Rea. Scenari tutti da verificare. Capitoli dell'ordinanza che ieri ha colpito, a Caserta, 19 persone tra politici, camorristi, spacciatori e imprenditori. Una retata che, ancora una volta, conferisce un ruolo ambiguo all'ex vicesindaco di Caserta, Pasquale Corvino, fratello dell'attuale assessore Maddalena, campionessa di voti alle Comunali del 2016. Con lui, ai domiciliari, ci è finito Pasquale Carbone, personaggio semisconosciuto in Terra di Lavoro, originario di San Marcellino, in passato legato all'ex sindaco di Trentola Ducenta, Michele Griffo. Carbone come l'arcinoto Corvino, tentò invano di entrare in consiglio regionale con Ncd-Campania Popolare. Sono finiti entrambi ai domiciliari. Mentre Lucrezia Cicia è indagata in stato di libertà. I primi due hanno avuto contatti con esponenti del clan Belforte per l'acquisto di voti. Per conto loro, hanno ricostruito i carabinieri della compagnia di Caserta, diretti dal maggiore Andrea Cinus, coordinati dai pm Dda Luigi Landolfi e Vincenzo Ranieri, gli esponenti del clan avrebbero pagato gli elettori con schede carburante, buoni pasto e 20 euro. Tale era la necessità di banconote da piccolo taglio che, nel corso delle intercettazioni, uno degli indagati s'affanna per cambiare 500 euro perché è a corto di contanti fuori i seggi.

Risponde di corruzione elettorale Lucrezia Cicia. La compagna dell'ex sindaco di Capua, Carmine Antropoli, arrestato lunedì per concorso esterno con i Casalesi, non è mai intercettata. Di lei parlano però due degli indagati. Antonio Benenati e Alberto Russo in un'ambientale fanno riferimento al versamento da parte di Cicia e di Domenico Ventriglia, deceduto a maggio di una somma di denaro di 11.500 euro versata con tre assegni. In cambio dovevano procacciare ai due il maggior numero possibile di voti. Russo racconta: «Cicia... 80 voti solo dal Bronx», ovvero il quartiere di case popolari di via San Clemente a Caserta. E aggiunge che «Massimo Vecchione come prova ha voluto vedere le fotografie dei voti». «Sai quanti voti ho preso per Lucrezia nel Bronx? Ho schiattato la testa! deve morire mamma, mi sono preso 80 voti, Vecchione ha visto 80 fotografie, ha detto: Albè... ma come hai fatto a prendere i voti nel bronx?... ho cacciato i soldi, vecchio! Nel Bronx si muoiono di fame, come fanno a non votarti! Il fratello, il cugino carnale di Emanuele lo Scassone! Donato eh! Hanno cacciato i soldi! Massimo Vecchione solo lui ha cacciato 20.000 euro! per Lucrezia!».

Il clan, nel corso della campagna elettorale del 2015, s'ingegna in tutti i modi per favorire i propri cavalli. Non solo prelevando anziani che vengono accompagnati fin dentro le cabine, non solo fotografando le schede, non solo minacciando chi cerca di fare il furbo, ma anche cercando in tutti gli ambienti possibili elettori. «Vincè, ma gli zingari pure sono buoni i voti?», «Come!», risponde Vincenzo Rea, l'ex pugile finito agli arresti. «Basta che tengono la residenza italiana».
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