Colpo alla Reggia di Caserta:
«Porte aperte, qui regna il caos»

Colpo alla Reggia di Caserta: «Porte aperte, qui regna il caos»
di Mary Liguori
Sabato 16 Febbraio 2019, 12:00
4 Minuti di Lettura
Con l'indagine in corso sul furto dei cavi di rame che alimentano le sale dell'Aeronautica militare nella Reggia di Caserta scoppia, di nuovo, il bubbone sicurezza. Palazzo reale è una groviera. Cambiano i responsabili della sicurezza interna, le tecnologie si aggiornano, ma la situazione, a valutare dall'ultimo clamoroso colpo al real sito, è sempre la stessa. Gli errori e le sviste, evidentemente, non aprono le porte all'insegnamento. Non si fa tesoro delle (brutte) esperienze, remote e recenti. Ed ecco che rispunta, nella ricostruzione del raid che ha lasciato al buio la Scuola specialisti, l'ennesima leggerezza che avrebbe potuto evitare l'ennesima figuraccia per un sito Unesco tra i musei più visitati in Italia e nel mondo. Disorganizzazione dell'esercito di sorveglianti e porte lasciate inspiegabilmente aperte avrebbero lasciato campo libero ai ladri, ma andiamo con ordine. Andando a ricostruire quanto accaduto sul finire di gennaio, reso noto ieri da Il Mattino, è possibile collocare a un paio di giorni prima la scoperta del furto il raid costato al monumento vanvitelliano un danno di 5mila euro. Il furto sarebbe infatti avvenuto mentre erano in corso due tipi di attività nella zona teatro del misfatto. Nella sala Romanelli era in allestimento un evento. In quella sovrastante lavoravano operai addetti a smontare materiale servito per un'altra mostra. Carica e scarica, smonta e rimonta, mentre dunque fervevano tutte queste attività, intorno alle 15, un tonfo attirò l'attenzione degli allestitori. Si affacciarono e scoprirono che un faro, caduto dal piano superiore, aveva sfondato il parabrezza dell'auto di uno degli operai. Ne parlano alcuni testimoni che hanno collocato la sparizione dei fili proprio in quelle ore. Chissà. Dalla nota con la quale l'Aeronautica ha messo al corrente la Reggia dell'avvenuto furto s'apprende infatti che, di quello che il redattore della comunicazione definisce «inconveniente», ci si è resi conto il 25 gennaio, giorno in cui l'impianto delle sale destinate all'Aeronautica smise di funzionare. Solo il lunedì successivo, e siamo al 28 gennaio, il Museo venne informato del fatto. Ma nessuno sporse denuncia alle forze dell'ordine.
 
Ma cosa non ha funzionato? Com'è stato possibile che in pieno giorno qualcuno abbia tranciato tre fili di rame da 150 metri l'uno e li abbia portati via dalla Reggia senza essere notato? Finisce sotto accusa, ancora una volta, la gestione dei custodi, presenti in numero di 130 complessive unità, ma a quanto pare assenti dalle sale in cui si tenevano gli allestimenti e lo smontaggio, locali attigui a quello in cui si trova il sottotetto per il quale passavano i cavi elettrici rubati. Secondo il regolamento nazionale dei Musei, qualsiasi attività all'interno dei siti deve svolgersi alla presenza dei custodi. Neanche il direttore può sottrarsi dal loro controllo, tant'è che il celebre scontro tra l'ex manager della Reggia, Mauro Felicori, e i sindacati, ebbe all'origine proprio l'abitudine del direttore bolognese di trattenersi in ufficio oltre l'orario, «vizio» che costringeva i custodi a straordinari e che, proprio per questo, chiesero il riordino dei turni nel documento in cui Felicori veniva accusato di «lavorare troppo». Ebbene, il giorno del furto dei cavi pare non ci fossero i custodi a vegliare sugli operai. E la sala, restituita dall'Aeronautica alla Reggia quattro anni, fa era aperta.

Ammuina, recita un antico detto napoletano, è bbona p'a guerra. Vale a dire la confusione genera altro caos. E c'è sempre qualcuno pronto ad approfittarne. Se è vero che l'ultimo colpo messo a segno a Palazzo è avvenuto mentre non si sa quanti operai si aggiravano per le sale attigue a quella del furto, senza la sorveglianza dei custodi, non solo si riconferma il vecchio adagio, ma anche la storia stessa della Reggia. C'erano i lavori in corso alle facciate quando, nel 2013, sparì addirittura il parafulmine del monumento, la «gabbia di Faraday» costata quasi mezzo milione di euro. Quelli della Reggia se ne accorsero, per caso, il 4 aprile. La mattina del 10 giugno 2018, invece, i dipendenti del ministero, in supporto ai custodi, denunciarono la sparizione di un pezzo della scultura di Boltanski dalla sala Terrae Motus. E anche in questo caso vale l'effetto della «ammuina». La stanza è senza allarmi e telecamere, la sparizione dell'ex voto avvenne mentre alcuni artisti, che quella sera dovevano esibirsi in Reggia, usavano la sala di Terrae Motus come spogliatoio. Un'incredibile confusione. Dal furto del parafulmine a quello dei cavi di rame sono cambiati tre responsabili della sicurezza e tre direttori. Nessuno ha ancora trovato la formula per proteggere Palazzo reale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA