Dal Parco Verde al Casertano con la crisi il crack batte la coca

Dal Parco Verde al Casertano con la crisi il crack batte la coca
di Mary Liguori
Mercoledì 9 Febbraio 2022, 07:59 - Ultimo agg. 08:01
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È tutta una questione di costi. Se prima della pandemia era la cocaina a scorrere a fiumi tra i giovanissimi della Caserta bene, con la crisi figlia del virus e delle restrizioni, delle chiusure che hanno messo in ginocchio l'economia in ogni suo settore, è il crack, più economico, a dilagare tra i ragazzi. È questo il dato più allarmante che emerge dall'inchiesta che, ieri, ha portato a sei arresti a Caserta, operazione coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, guidata da Carmine Renzulli, e delegata ai carabinieri della compagnia del capoluogo, agli ordini del capitano Pietro Tribuzio. Perché, al di là dei sei arresti, c'è nell'ordinanza a firma del gip Rosaria Dello Stritto, la fotografia più attuale della criminalità casertana e dello stato di salute della gioventù cittadina. In manette son finiti Lorenzo Claudio Bernardino, Michele Carfora, Francesco Martucci, Mario Russo (in carcere) e Dafne De Angelis e Attilio Russo (ai domiciliari).

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Una dose di cocaina di media qualità costa, a Caserta, 30 euro (mezzo grammo). Una fumata di crack, invece, non supera i 15-20 euro.

Ed è una droga che sballa, che crea forti dipendenze, che si consuma «in compagnia», il crack. Una droga che, evidentemente, i pusher casertani hanno compreso per tempo che sarebbe stato il «futuro». Nell'«offerta» della gang di pusher sgominata ieri dai carabinieri compare, sin dal 2020, anno dell'inizio della pandemia, il crack affianco alla coca e all'eroina e all'hashish. Gli spacciatori si riforniscono al Parco Verde di Caivano di quelle dosi che, precedentemente, i consumatori casertani dipendenti dal crack dovevano comprare in provincia o nel Napoletano. A partire dal 2020, invece, Bernardino e compagni il crack lo portano direttamente in città. Lo spaccio - hanno ricostruito i militari attraverso pedinamenti e intercettazioni - avveniva per strada e a domicilio. Gli ordini, come ormai avviene da anni, via whatsapp.

I tempi sono duri e c'è che accumula un bel debito in mano ai pusher e che, sorprendentemente, poi vuol saldare pagando col conto corrente. C'è da chiedersi cosa intendeva scrivere nella causale. Ma andiamo all'intercettazione. È un audio inviato su Whatsapp. «Ti stavo dicendo... mi mandi in numero di Iban su Whatsapp... della carta e ti faccio il bonifico...», chiede un cliente. Bernardino risponde: «E come fai a fare il bonifico, quando?». La risposta: «e quello che ti devo dare, quello che ti devo dare», parliamo di 150 euro.

I sei indagati sono soggetti parzialmente sconosciuti agli archivi di polizia. È il caso di Dafne De Angelis, moglie di Russo. E ai tempi del covid per intercettare con certezza un'utenza telefonica cosa c'è di meglio di una chiamata all'Asl? La donna contatta gli uffici deputati alla prenotazione degli screening per prenotare un tampone. Si presenta, con nome e cognome. È fatta. E non c'è scheda intestata a terzi che tenga. Ed è così che gli investigatori hanno la certezza che quell'utenza è proprio la sua. Di qui partono una serie di intercettazioni che faranno parte del mosaico che compone la richiesta d'arresto spiccata dalla Procura di Santa Maria poi accolta, in toto, dal gip.

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