Ecopneus, l'appello del dg Corbetta: «Non comprate in nero»

Ecopneus, l'appello del dg Corbetta: «Non comprate in nero»
di Lorenzo Iuliano
Martedì 2 Febbraio 2016, 10:42
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«La nostra esperienza dimostra che le aziende, se responsabilizzate, possono avere un importante ruolo sociale in Italia. Tutte le iniziative che portiamo avanti nella Terra dei fuochi hanno un unico obiettivo: far capire ai cittadini l'importanza di non acquistare in nero gli pneumatici e mostrare, soprattutto alle nuove generazioni, quanta vita può rinascere da un materiale come la gomma». Giovanni Corbetta, 66 anni, ingegnere, è il direttore generale di Ecopneus, la società consortile per azioni protagonista di un impegno senza precedenti per l'area a cavallo tra le province di Napoli e Caserta. Dopo 30 anni in Pirelli, è tra i fondatori del consorzio.

Direttore, come definirebbe l'attività di Ecopneus?
«Ecopneus è la dimostrazione che il produttore di un bene, nel nostro caso di pneumatici, chiamato a trattarlo alla fine del suo ciclo di vita, ottiene indubbi successi perché nessuno più di lui è interessato ad averne cura. Vederlo abbandonato o diventare simbolo di bruttura ambientale, fa male. Oggi sempre più il rifiuto può essere una risorsa preziosa, può generare vantaggi. Il riuso dello pneumatico consente, ad esempio, di ridurre l'importazione e ha molteplici applicazioni, diventando un affare per il cittadino, per il Paese e per l'azienda. L'impostazione del nostro modello poi è priva di obiettivi di business. Se ci sono utili, restano in azienda per il futuro».

Perché puntate tanto sul contrasto alle vendite di pneumatici in nero?
«Ecopneus è il più grande consorzio del settore e questo implica responsabilità. Trattiamo circa il 70 per cento del mercato italiano. La vendita in nero non solo comporta il danno erariale della mancata Iva e tassazione, ma sfocia nell'abbandono dei rifiuti. Se chiamo un muratore a fare le ristrutturazioni in casa a nero, quando raccoglie le macerie non può andare in siti autorizzati a sversarle, ma andrà nei boschetti, provocando un significativo danno ambientale. La stessa cosa accade per gli pneumatici. Un gommista che li vende in nero farà la stessa operazione. È addirittura disposto a pagare qualcuno per compiere il misfatto. Per autocarri e mezzi agricoli registriamo pochi abbandoni di pneumatici, il vero fenomeno riguarda gli automobilisti, che per il 10-15 per cento cambiano le gomme in nero. Il meccanismo è duplice: o si tratta di prodotti importati da Paesi stranieri in maniera fraudolenta oppure di prodotti italiani al centro di una triangolazione. In pratica un intermediario fa una bolla falsa per portare pneumatici all'estero, ma dal Paese non esce nulla e quelle gomme entrano nel circuito clandestino, anche se i numeri sono a posto in entrata e in uscita. Ma non è pareggiabile la quantità fisica di gomme esistenti, ecco perché il nuovo sistema che permette il ritiro gratuito ai gommisti è fondamentale. Ne serviamo ben 40mila».

Cosa deve fare un cittadino per stare nelle regole e contribuire alla legalità?
«Deve comprare pretendendo lo scontrino con l'indicazione in riga separata del contributo già previsto automaticamente per legge nel cambio gomme, pari a 2,30 euro. In questo modo siamo sicuri che tutto è in regola. Se invece chiedo uno sconto ed evito la ricevuta, quasi sicuramente quegli pneumatici non entrano nel canale corretto di gestione e saranno abbandonati. A questo punto possono succedere due cose: quelle gomme vengono incendiate anche per ridurne il volume o c'è un altro sistema. In sostanza, tutte quelle aziende di pelletteria sconosciute allo Stato affidano la raccolta a un sistema più o meno criminale, che abbandona gli scarti ovunque. Quindi si appicca il rogo, ma siccome le pelli non bruciano mai del tutto, vengono raccolti pneumatici e usati per garantire la totale distruzione del materiale. Così non si lasciano tracce».

Avete dunque verificato una specificità della Terra dei fuochi rispetto ad altre zone del Paese in cui operate?
«La tentazione di comprare in nero qui è più forte che altrove, ma è soprattutto il fenomeno del rogo ad essere una peculiarità che in altri posti non registriamo. Per esempio in alcune zone della Sardegna ci sono gli stessi livelli di vendite in nero, ma poi gli pneumatici vengono buttati in mare o nelle miniere, cosa altrettanto grave, ma mai bruciati. Qui invece sì, perché il fuoco è connesso appunto alla miriade di aziende artigiane abusive, che devono far sparire le tracce di sé».

Ecopneus ha scelto di andare ben oltre gli obblighi che ha per legge, per quale motivo?
«Perché se davvero un'azienda ritiene di avere un ruolo sociale non deve arrestarsi al formalismo delle norme. Se hai le condizioni per dare di più, va fatto. È il tassello di una strategia di sostenibilità. L'andare oltre è testimoniato dalle quantità raccolte, 20mila in più l'anno scorso rispetto a quanto previsto dalla legge».

Quante risorse avete finora investito?
«In Terra dei fuochi abbiamo un salvadanaio di circa 5 milioni, di cui abbiamo speso ancora molto poco. Qui facciamo la raccolta ordinaria degli pneumatici fuori uso a cui aggiungiamo la sinergia con le municipalizzate dei rifiuti, che ci fanno trovare il materiale in punti di raccolta, in virtù del protocollo firmato nel 2013. L'obiettivo è utilizzare tutte le risorse per questo territorio. Siamo ancora agli inizi».





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