C’è un tronco che rimane aggrappato al terreno come un relitto. Sta quasi per staccarsi dal suolo, ma resiste. È solo uno degli alberi cadenti della selva che circonda il lago. Questo posto si chiama «riserva», ma nessuno lo cura. È un’area naturale protetta, ma non si sa chi dovrebbe proteggerla. Di fatto, è sporca, abbandonata, stretta nella morsa di incivili che scaricano bottiglie, piatti di plastica dopo pic-nic all’aperto che nessuno raccoglie. Nè i netturbini del Comune, nè i volontari ambientalisti, ammesso che a Falciano del Massico ce ne siano di club ambientalisti. E poi, ci sono loro: gli alberi, patrimonio dimenticato, ora degna Spoon River della flora, qui a Falciano. Cadono senza che qualcuno pensi a un minimo di manutenzione. Un incidente lascia tracce. Il degrado no: si accumula. Questo è. La riserva del lago di Falciano è uno specchio d’acqua bellissimo, un patrimonio faunistico, floreale e archeologico nel bel mezzo della provincia di Caserta.
La storia
Qui, un briciolo di natura incontaminata rimane saldo nel ricordo di ciò che fu. In effetti, non ci sono guardie ambientali, non c’è un servizio di pulizia, non c’è la grande guida turistica che possa indicarlo fra gli itinerari. Il lago, quindi, resta lì in attesa che qualcuno lo visiti e pure degli incivili, che puntualmente lo sporcano. Eppure, la responsabilità del luogo ricade anche sulla Soprintendenza dei beni culturali. Sul sito dell’ente si legge che il referente del settore architettonico è Giuseppe Schiavone.