Sono già una decina le scarcerazioni di altrettanti indagati coinvolti agli inizi di maggio in una inchiesta della Dda sugli appalti finiti alle imprese ritenute colluse con il clan dei Casalesi, grazie ai regali che arrivavano lo dice l'accusa ai dirigenti di Reti ferroviarie italiane (Rfi).
Le ultime decisioni del Tribunale del Riesame hanno visto l'annullamento delle ordinanze cautelari a carico degli imprenditori Antonio e Luigi Petrillo (difesi dall'avvocato Mario Caliendo) e Angelo Massaro. Su un totale di 34 arrestati di cui la metà domiciliari (e 63 indagati), il Tribunale della Libertà ha annullato una decina di arresti per mancanza di esigenze cautelari, tra cui i cinque imprenditori Diana (difesi dall'avvocato Giuseppe Stellato), mentre c'è stata una riforma della misura cautelare per l'altro indagato Francesco Salzillo. Nell'inchiesta spiccano i nomi di due imprenditori oggi residenti a Napoli, «omonimi» della famiglia degli Schiavone del clan dei Casalesi ma ritenuti collusi. In particolare, Nicola Schiavone, 68 anni, natali casertani, da anni residente a Napoli (studi tra via Gramsci, piazza dei Martiri, residenza a Posillipo).
Assieme al fratello Vincenzo in uno scenario che va chiarito così: Vincenzo e Nicola Schiavone sono solo omonimi dei boss casalesi, ma sono accusati di aver messo a frutto soldi sporchi di Francesco Sandokan Schiavone (il cosiddetto «lievito madre»). Per l'accusa era il dominus della rete dei subappalti, all'ombra di Rfi e di altri ex colossi di Stato. Decideva quali ditte dovessero subentrare nei lavori di rifinitura e di messa in sicurezza della rete ferroviaria, poi faceva la voce grossa. In due direzioni: era infatti in grado di promuovere le carriere dei funzionari di Rfi, mentre strappava consulenze d'oro per prestazioni mai avvenute. Preziosi gemelli d'oro Cartier da 600 euro, stipendi di mille euro mensili, soggiorni da oltre 9mila euro in costiera sorrentina, con tanto di prestazioni accessorie. E le promozioni. Sono i regali che gli ex dirigenti di Rfi avrebbero ricevuto in cambio di appalti finiti alle imprese ritenute colluse con il clan dei Casalesi. Tra gli appalti finiti nelle mani di ditte riconducibili al clan, figura anche quello di Rfi riguardante le centraline di sicurezza e della pavimentazione stradale. Sequestrati 50 milioni di euro. Contestati, a vario titolo, estorsione, intestazione fittizia di beni, turbativa d'asta, corruzione e riciclaggio, aggravati in quanto commessi per agevolare un'organizzazione mafiosa. Oltre a Nicola Schiavone e al fratello Vincenzo, è coinvolto anche Dante Apicella, nome che spiccò nel maxiprocesso Spartacus. Rfi aveva poi spiegato in una nota a margine degli arresti: «Sono stati sospesi in via cautelare tutti i dipendenti coinvolti, mentre altri quattro sono stati in passato licenziati dopo le prime verifiche della magistratura».