Figlio ucciso dalla droga: arma un clan
con i soldi del premio assicurativo

Figlio ucciso dalla droga: arma un clan con i soldi del premio assicurativo
di Mary Liguori
Martedì 15 Febbraio 2022, 08:42
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«L'anello è davanti e i serpenti alle spalle. Che significa?» Chiede una bellissima Laura Del Sol nei panni di Rosetta Cutolo ad Alfredo Canale nel celeberrimo film. Storie di malacarne e calabresi, ma qualcosa d'altro significa ancora se, a quasi trentotto anni dal successo di Tornatore, un gruppo di criminali si organizza e usa proprio un anello come segno distintivo anche quando, a colpi di sventagliate di mitra, cerca di mettersi «i serpenti» alle spalle. È una storia che sembra uscita dal «cinematografo», per continuare a citare Ben Gazzara nei panni di Raffaele Cutolo, quella che Il Mattino ha anticipato lo scorso autunno con una inchiesta che ha ricostruito i retroscena di una serie di azioni violente che hanno seminato il panico sul Litorale Domitio.

E se Cutolo iniziò a delinquere per riscattarsi dalle sue umili origini, il protagonista di questa vicenda ha sentito il bisogno di mettersi in gioco dopo la morte del figlio. Ucciso, indirettamente, dalla droga.

Inizialmente si pensò addirittura che il soggetto in questione volesse «ripulire» il Litorale dalle piazze di spaccio, ma poi si è compreso che quelle piazze, l'aspirante boss, non voleva «cancellarle», ma controllarle. Il prologo, dunque, è la morte di un ragazzo di vent'anni in un incidente stradale sulla Domitiana. Quando suo padre scopre che quello schianto poteva evitarsi se solo il conducente dell'auto non fosse stato drogato al momento dei fatti, decide che deve fare qualcosa. Inizia così la carriera criminale di Antonio Fucci, 44 anni, presunto capo della «banda del Litorale», quella che ieri i carabinieri hanno sgominato a Castel Volturno.

Inizia con uno che, prima della primavera scorsa, non aveva né arte né parte in termini criminali ma che, una volta intascato il risarcimento assicurativo per il decesso del figlio, riesce a mettere insieme un clan multietnico, lo arma e, a suon di sparatorie, pestaggi, raid intimidatori a colpi di mazze da baseball, riesce a riportare la paura sulla Domitiana e dintorni. Lo scopo? Prendersi tutte le piazze di spaccio. «Qui adesso comando io» la frase che ha rivolto a pusher e commercianti. «Siccome mi hai sempre voluto bene, tu non paghi niente», diceva, invece, a coloro che erano «esentati» dal pizzo.

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Violenza, dunque, tanta di quella violenza che, per poterlo fermare insieme a cinque dei suoi fedelissimi, i carabinieri del Reparto territoriale di Mondragone hanno dovuto convincere uno dei suoi a «collaborare», dal momento che poche vittime hanno avuto il coraggio di denunciarlo. Ma andiamo alla retata che ieri ha tagliato la testa a quella che abbiamo chiamato la «Banda del Litorale». Oltre ad Antonio Fucci, con le accuse (contestate a vario titolo) di rapina, estorsione, sequestro di persona, reati aggravati dagli abbietti motivi, dal metodo mafioso e dall'uso delle armi, in manette sono finiti in manette Giovanni Arno, Luigi Marano, Ciro Castaldo, Ciro e Giovanni Piscopo.

Proprio quest'ultimo, genero di Fucci, ha raccontato ai carabinieri cosa c'era dietro l'escalation di violenza sul Litorale e ripercorso le fasi che hanno reso suo suocero un aspirante boss. «Io e mia moglie siamo scappati ad Arzano perché Fucci e la moglie continuavano a delinquere e io non voglio avere problemi con la giustizia». Piscopo prese parte a uno dei pestaggi, e infatti la misura cautelare ha colpito anche lui, poi si è allontanato dalla famiglia della moglie e da Castel Volturno ed è diventata la «gola profonda» che ha, di fatto, consentito ai militari di scompaginare il clan emergente. Ve detto che, sempre secondo il racconto di Piscopo, Fucci ottiene il nulla osta a «prendere» le piazze di spaccio del litorale da Giosué Fioretto, capozona dei Bidognetti, e Vincenzo Cirillo, detto il sergente, fratello di Alessandro, ergastolano che era nel gruppo di fuoco di Giuseppe Setola. Tutto da vedersi. Agli atti sottoscritti dal gip di Napoli, Giovanni Vinciguerra, su richiesta della Dda, di contatti tra gli indagati e i colonnelli casalesi non ce ne sono affatto. Ma l'indagine sembra tutt'altro che chiuso.
 

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