Follia nel bar, Lamonica e gli altri:
​«Vittime di traumi in caserma»

Follia nel bar, Lamonica e gli altri: «Vittime di traumi in caserma»
di Mary Liguori
Venerdì 21 Giugno 2019, 07:00 - Ultimo agg. 14:45
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Un black out lungo 19 anni. La luce, nella testa di Gianfranco Lamonica, l’uomo ferito dalla polizia per essersi asserragliato con una pistola dentro un bar di Caserta, si è spenta a marzo del 1998. Il giorno in cui fu congedato senza appello dall’Esercito Italiano. Il 41enne che si spacciava per reduce di guerra che due giorni fa ha seminato il panico in centro a Caserta ed è stato ferito a mitragliate dalla polizia, non era più lo stesso dopo l’obbligo di leva. Lo ha raccontato sua madre, Giovanna, al suo capezzale fin quando non sono scattati gli arresti. La donna ha riferito che Gianfranco era un ragazzo senza problemi, prima di partire per il militare. La prima chiamata l’ebbe nel 1996, ma ottenne il rinvio per ragioni scolastiche. L’anno dopo, nel mese di maggio, partì per la caserma di Sora, pieno di entusiasmo e di voglia di fare. Poche settimane, poi fu destinato a Caserta, nella sua città, alla Pionieri, oggi 21esimo Reggimento Guastatori. Dopo otto mesi il congedo il ritorno a casa, e l’inizio di una vita da nullafacente, col vizio dell’alcol che lo ha quasi distruto. La madre ha raccontato che da quel momento non è più stato lo stesso, che ha assunto atteggiamenti ossessivi, che la sua vita sembrava essersi congelata in quegli otto mesi con la divisa dell’Esercito. Mai violento, ma autolesionista, con comportamenti che, prima di due giorni fa, avevano danneggiato solo se stesso.  

La storia di Gianfranco non è purtroppo l’unica. Diversi sono i suoi coetanei che, tornati dall’anno di leva, hanno avuto problemi psichici, di dipendenza, a volte addirittura hanno tentato il suicidio. Vito ha la stessa età. Dal 1998 a oggi ha collezionato una serie di Tso. Quando partì per la leva obbligatoria era un ragazzo senza alcun problema. «Dopo non è più stato lo stesso. Parla sempre della vita militare, più volte ha dato di matto rompendo mobili e prendendosela un po’ con tutti. Non sappiamo cosa sia successo in caserma, perché si è sempre rifiutato di parlarne, ma di sicuro deve aver subito un trauma molto forte, visto che da quel momento ha perso il controllo di se stesso». Il racconto del cugino di Vito, che oggi vive nel Napoletano, coincide sotto molti aspetti con quanto è emerso su Gianfranco dopo la sparatoria. Anche lui è stato per alcuni mesi alla caserma di Caserta. E anche lui quando è tornato a casa non ha più avuto una vita regolare. Storie di questo tipo ce ne sono diverse. Marcello, oggi 50 anni, vive come in un limbo dal 1992, anno in cui partì per la leva, destinazione Reggimento Genio Trasmissioni a Cecchignola, La sua stanza è tappezzata di stendardi dell’Esercito, riproduzioni di medaglie, foto di scenari di guerra. Marcello non è mai stato violento, ma da quando è stato un soldato ha vissuto in sospeso ossessionato da esperienze inventate dalla sua mente. La caserma dove è stato militare è la stessa in cui un ex assessore di un paese in provincia di Torino sostiene di essere stato stuprato nel 1982. Delle violenze subite da tre commilitoni, dell’omertà e delle pressioni subite dai superiori per non far emergere la verità, l’uomo è riuscito a parlare solo nel 2017. Trentaquattro anni dopo la violenza sessuale di gruppo subita. Cosa è successo durante l’anno di leva a Marcello, a Vito, a Gianfranco Lamonica che quasi si è fatto ammazzare per inseguire le proprie ossessioni, brandendo una pistola finta contro la polizia? Un trauma? Una violenza? Atti di nonnismo? Hanno visto qualcosa che non avrebbero dovuto vedere? Hanno assunto delle droghe? Sono le domande che da decenni torturano i loro familiari. «Quando la leva obbligatoria è stata abolita, sono stata contenta, - dice la sorella di Vito - Mio fratello ha perso tutto e non sapremo mai cosa gli hanno fatto. Quando ho letto di Lamonica a Caserta non ho potuto fare altro che associarlo alla vicenda di mio fratello. A questi ragazzi è successo qualcosa, ma nessuno ha interesse a far emergere la verità se non noi familiari».
 
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