Furbetti del cartellino in ospedale,
non c'è «associazione» di medici

Furbetti del cartellino in ospedale, non c'è «associazione» di medici
di Biagio Salvati
Domenica 14 Luglio 2019, 12:39 - Ultimo agg. 15 Luglio, 00:11
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I giudici della seconda sezione della Suprema Corte di Cassazione hanno confermato l'esclusione del reato di associazione a delinquere in linea con quanto deciso già dal Tribunale del Riesame - per alcuni medici dell'Ospedale di Sessa Aurunca coinvolti qualche mese fa nell'inchiesta sui cosiddetti «furbetti del cartellino».
Gli ermellini, infatti, hanno respinto il ricorso del pubblico ministero Ida Capone che aveva impugnato la decisione del Tribunale della Libertà di esclusione dell'associazione a delinquere sulla misura cautelare: le posizioni impugnate, in particolare, riguardavano il primario di Anestesia, Ferdinando Pasquariello, difeso dall'avvocato Gennaro Iannotti, e i dirigenti medici Nives De Francesco, Leone Rocco e Anna Maria Sorrentino, difesi dall'avvocato Luigi Imperato. Viene definitivamente escluso per la difesa - il patto tra i medici ipotizzato dalla pubblica accusa finalizzato alla truffa a danno dell'Asl e dell'azienda ospedaliera. Resta in piedi l'ipotesi di truffa e la falsa attestazione in merito all'utilizzo di badge, con l'obbligo di firma ancora per diversi medici.

 

Agli atti del gip che ha spiccato l'ordinanza si fa riferimento a un danno economico di poco superiore ai 21mila euro e a una contestazione che gli indagati, tra i quali sei medici, diversi infermieri e addetti al settore amministrativo, respingono. Perché, al netto della questione dei licenziamenti annunciato dal direttore dell'Asl Mario Di Biasio, licenziamenti mai avvenuti dopo l'annuncio, la posizione dei 18 destinatari della misura, spiegano alcuni dei penalisti impegnati nel collegio difensivo, va chiarita anche sotto tutti gli aspetti. La legge non fa distinzione tra l'assenza truffaldina dal lavoro che provoca il solo danno economico e la «furbata» che invece va anche a danno della collettività, in questo caso i pazienti di un ospedale. Le contestazioni relative alle assenze sospette e le strisciate di badge per conto terzi, non sarebbero relative ai turni in corsia, ma alla formazione obbligatoria retribuita che gli indagati svolgevano in ospedale. Chiariscono, alcuni degli indagati, che mai il reparto è stato lasciato scoperto e respingono l'accusa di avere ricevuto denaro pubblico non dovuto. Ma l'accusa ha dalla sua i filmati dalle telecamere nascoste: alcuni sono stati ripresi mentre marcano il badge al posto loro. È la prova regina dell'inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Anna Ida Capone del pool dell'aggiunto Antonio D'Amato.
Prova rispetto alla quale la difesa tenterà di dimostrare una versione diversa. Intanto una parte dell'ospedale resta sotto sequestro. Nel procedimento sono impegnati anche gli avvocati Gianluca di Matteo, Camillo Irace, Domenico Schiavo e Carlo Destavola.
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