Garigliano, centrale nucleare:
lo smantellamento fnirà nel 2028

Garigliano, centrale nucleare: lo smantellamento fnirà nel 2028
di Antonio Borrelli
Martedì 16 Aprile 2019, 09:13
3 Minuti di Lettura
Tra i caratteristici e litoranei pini che costeggiano l'Appia spunta un'indicazione: «Centrale nucleare del Garigliano». Siamo proprio sulla linea di confine tra Campania e Lazio, solcata naturalmente dal fiume che sfocia nel Tirreno attraversando Minturno. È proprio lì che dal 1963 poggia la discussa centrale elettronucleare del Garigliano progettata dall'ingegnere Riccardo Morandi. Ed è ancora a ridosso del corso d'acqua che l'impianto - oggi di fatto un reperto di archeologica industriale - attraversa il suo ultimo ciclo di vita. La centrale è infatti in disuso dall'ormai 1982, quando l'Enel - allora proprietaria - la disattivò perché il suo ammodernamento costava troppo, vista la poca vita residua dell'impianto. Ben cinque anni prima che con un referendum gli italiani scegliessero di abbandonare il nucleare e di chiudere definitivamente le centrali sul territorio nazionale.
 
Eppure al Garigliano (come negli altri tre impianti elettronucleari italiani) non tutto si è esaurito nel 1987. Da allora è iniziata la faticosa strada in salita per smantellare la centrale. Un programma ancora in corso e che oggi si può dire essere giunto soltanto a metà. A farsi carico del progetto è Sogin, ente statale divenuta proprietaria dell'impianto nel 1999. È soltanto da allora, 12 anni dopo il referendum e ben 17 dalla chiusura della centrale, che è stato avviato il maxiprogetto di smantellamento. Un'operazione complessa, costosa e lunga. I lavori veri e propri sono cominciati nel 2006 e la scadenza è tra il 2026 e il 2028: è allora che saranno stati smantellate 268.150 tonnellate di rifiuti e 5.739 tonnellate di rifiuti radioattivi. Tutto per un costo di 383 milioni di euro. L'impegno dei tecnici in campo, infatti, riguarda soprattutto i lavori di allontanamento del combustibile nucleare, della decontaminazione e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. E le operazioni si incrociano inevitabilmente con le stringenti norme in maniera di trattamento e smaltimento dei rifiuti nucleari sviluppate dallo Stato nel corso degli decenni passati. In gergo si chiama «decomissioning», è l'ultima fase del ciclo di vita di un impianto nucleare. Terminati i lavori di decomissioning, i rifiuti saranno pronti per essere trattati al Deposito Nazionale. Il problema, però, si riproporrà proprio tra il 2026 e il 2028. Oggi l'Italia non ha un Deposito Nazionale disponibile, lo attende da anni e nel frattempo paga la Francia per ospitare le scorie inviate e custodite.

«Per l'Italia è fondamentale avere un Deposito Nazionale - sottolinea uno degli esperti - ma i governi hanno discusso per anni ed oggi il tema non sembra tra essere tra le priorità». Così - ricalcando al meglio le falle del Paese Italia sulle grandi questioni ambientali - si procede a dei lavori di bonifica nucleare senza sapere dove poi finiranno le scorie. «Noi siamo virtuosi - ripetono a più riprese da Sogin - siamo un ente statale e quindi rispettiamo le leggi; e non abbiamo alcun interesse a smaltire i rifiuti secondo altre modalità». E in effetti al Garigliano gli interventi sembrano procedere secondo il cronoprogramma: è stato abbattuto il vecchio camino e ne è stato realizzato uno nuovo per consentire le operazioni di decontaminazione, è stato adeguato un edificio per adibirlo a deposito temporaneo e ha costruito un nuovo deposito per la custodia in sicurezza dei soli rifiuti radioattivi.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA