Gianfranco, vite parallele
tra follia e giochi di guerra

Gianfranco, vite parallele tra follia e giochi di guerra
di Mary Liguori
Giovedì 20 Giugno 2019, 15:00
4 Minuti di Lettura
Per tutti, al rione Tescione, aveva un disturbo post traumatico dovuto agli orrori della guerra. Orrori che non ha mai realmente vissuto, se non nella sua testa, popolata da mille sogni infranti e da picchi di ammonio, una sostanza che in carenza o in eccesso agisce in maniera devastante sul comportamento. Gianfranco Lamonica la mimetica la indossava tutti i giorni, anche ieri, quando ha brandito una pistola, poi rivelatasi finta, contro due baristi e contro la polizia. Ma la divisa dell'Esercito, in realtà, l'aveva indossata solo una volta quando, nel 1998, era stato militare di leva. Sognava, Gianfranco, scenari di guerra, imprese eroiche, teatri bellici in cui cimentarsi. E si era convinto d'esserci stato nei fronti caldi della terra, tanto da non parlare d'altro. Anche al rione Tescione dove era solito aggirarsi, spesso ubriaco, tutti credevano che fosse un militare in congedo. Gianfranco raccontava a tutti di quelle sue missioni all'estero, dell'esperienza in Afghanistan e a chi non ci credeva mostrava le foto. Immagini che lo ritraggono con la divisa camouflage simile a quella dell'Esercito italiano. Con l'elmetto, gli occhiali scuri, gli auricolari. In quelle foto, pubblicate anche su Facebook, lo si vede imbracciare potenti armi da guerra. Fucili, mitragliatrici. Ma era tutto finto. Era una messinscena della sua mente. Quelle immagini sono state scattate, presumibilmente, durante battute di softair, il gioco della guerra.
 
Uno sport in cui gli atleti utilizzano armi ad aria compressa che esplodono pallini di plastica o di ferro, dove ci si spara, appunto, con indosso le protezioni. Gianfranco partecipava alle battute di guerra finta al Caserta Softair sas, a Valle di Maddaloni. Ma non bastavano quelle simulazioni a placare il suo desiderio di essere un militare. O perlomeno, alla luce di quanto è successo ieri, così sembra. Gianfranco ha rischiato di essere ucciso, di morire sotto i colpi della mitragliatrice di un poliziotto perché il limite tra la realtà e la fantasia lo aveva superato ormai da tempo e ieri ha passato il segno. È uscito di casa con la pistola del softair, una riproduzione di Beretta uguale in tutto e per tutto a quella vera, senza tappo rosso. E ha passeggiato con quell'arma in pugno da casa sua, in via Tescione, a via Labriola, fino a via Vescovo Michele Natale, dove la sua mattinata storta ha raggiunto l'apice.

Alcune compresse al giorno garantivano a Gianfranco di vivere abbastanza serenamente. Ma bastava mancarne qualcuna per innescare in lui comportamenti anomali. Ma mai aggressivi. I residenti della zona in cui vive, molti dei quali convinti che i suoi problemi venissero dai traumi vissuti in missione, ne parlano come di un ragazzone sempre desideroso di parlare di sé, di essere ascoltato. Fino a tre mesi fa compariva al bar dove ieri ha dato di matto intorno alle 18. E diceva di avere appena «smontato» dal turno di lavoro. Indossava spesso la mimetica, per cui tutti pensavano che fosse un militare. Prendeva un aperitivo e chiacchierava con i baristi. Che infatti ne hanno parlato come di «un cliente abituale, sempre gentile, rispettoso, un aperitivo la sera e due chiacchiere. Era scosso dalle esperienze militari, ma parlava dimostrando attaccamento della divisa». Una vita parallela dunque, quella che si era costruito Gianfranco. Un profilo rispondente all'uomo che avrebbe desiderato essere, all'uomo che non sarebbe mai stato. Quei suoi comportamenti strani, poi, non essendo mai stati molesti, tutti li tolleravano. Ché, si dicevano tra loro, dopotutto nelle missioni doveva aver visto qualsiasi orrore, normale che fosse provato. Ma tutto quello che Gianfranco vedeva, raccontava, riferiva, esisteva solo nella sua testa. Non c'era nulla di vero. E quella sua vita parallela, quell'essersi completamente calato in un personaggio immaginario, in una parte nella quale credeva lui stesso, nel recitare un copione senza sbavature, credibile per chi non lo conosceva bene, l'aveva mandato fuori controllo. Tanto che ora ci si chiede se sia stato curato adeguatamente, se fosse attento chi aveva la sua tutela, se prendesse le medicine, se seguisse una terapia adeguata a silenziare i demoni che gli affollano la mente. Poteva finire peggio. Il poliziotto che gli ha dovuto sparare credendo che fosse pronto a fare una strage è stato bravo. Ha cercato di limitare i danni, mirando a parti non vitali. Ora Gianfranco è in ospedale, in codice rosso. Tutti si augurano che si riprenda e che inizia una terapia che lo liberi dal mondo inventato nel quale si era barricato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA