«Ha costruito i bunker di Zagaria,
poi ha venduto il boss alla polizia»

«Ha costruito i bunker di Zagaria, poi ha venduto il boss alla polizia»
di Mary Liguori e Marilù Musto
Venerdì 13 Aprile 2018, 08:00 - Ultimo agg. 21:50
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Sulla ricevuta di pagamento il nome del «traditore» è celato da «omissis». L’allora capo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, gli consegnò la consistente cifra di 40mila euro dieci giorni dopo aver messo le mani sul Casalese «imprendibile»: Michele Zagaria. Quelle carte, depositate al Riesame per il procedimento Medea, tornano attuali nell’ordinanza spiccata ieri dal gip Federica Colucci perché, agli atti, ci sono le intercettazioni a carico della moglie di Vincenzo Inquieto, proprietario della villetta sotto il cui pavimento c’era l’ultimo bunker del capo dei capi. Rosaria Massa, vivandiera fidata di Zagaria, parla della «talpa che ha fatto arrestare “zio” Michele» con sua figlia nel momento in cui, in esclusiva su Il Mattino, viene pubblicato il contenuto del documento con cui era stata pagata la persona che consentì alla Mobile di stanare il latitante il 7 dicembre del 2011.
La conversazione risale al 15 giugno del 2017. Le due donne leggono l’articolo, si interrogano. Il nome di chi ha «venduto» il capoclan nel pezzo non c’è, ma loro due sembrano sicure che l’autore della soffiata sia «Giuseppe Inquieto». Ma come arrivano a una simile conclusione? Analizzano il comportamento dell’uomo, che è zio della ragazza e cognato della donna, nel periodo successivo la cattura del boss. «Tengo il giornale qua...», esclama la Massa. «... Quella tra zio Peppe e zia Amalia», risponde la figlia, «non venivano più a casa, prima stavano sempre a casa». La madre riflette, «Amò, l’altra cosa che a me mi fa capire qualcosa di brutto è perché loro con me non vogliono avere alcun rapporto, con nessuno... a dire “levatevi”, “levatevi da vicino a questi”... capito?». La ragazza concorda, sottolineando il comportamento dell’altro zio, che invece dopo l’arresto del boss non è cambiato. «Loro invece - riferendosi ancora a Giuseppe e alla moglie - non ci vogliono proprio vedere».
 


Valutazioni, quelle della Massa e di sua figlia, che si ingarbugliano in una serie di circostanze pregresse che dipingono invece la sagoma di Giuseppe Inquieto come quella di un fedelissimo dell’ex primula rossa. Se Zagaria sfugge all’arresto per 17 lunghi anni accade, a dire dei pentiti, perché un intero paese, Casapesenna, gli regge il gioco, perché un sindaco gli consente di sovrapporre alle linee ufficiali, i fili del citofono «dedicato», col quale parla coi suoi uomini senza il rischio di venire intercettato. Ma anche perché pochi sono quelli che sanno dove si trovano i nascondigli del boss. Del cerchio ristretto faceva parte, a dire dei pentiti, proprio Giuseppe Inquieto. In una famiglia di idraulici, lui aveva scelto di diventare fabbro ed era molto abile. «Era l’unico a conoscere tutti i bunker di Michele Zagaria perché li ha costruiti di persona»: lo dice Generoso Restina, altro vivandiere dell’ex latitante. «Nel 2005 costruì il covo di via Cristoforo Colombo a Casapesenna, si occupò dell’assembramento dei termoarredi che servivano a coprire la porta d’accesso al bunker», spiega il collaboratore di giustizia. «L’anno dopo, ci fu un problema con i binari sui quali scorreva la parete del termoarredo dalla quale si accedeva al bunker e fu ancora Giuseppe Inquieto, insieme al fratello Vincenzo, a occuparsi di sistemare tutto». Lo stesso pentito riferisce che furono, ancora, «Giuseppe e Vincenzo Inquieto a costruire il bunker in casa del manovale Angelo Sagliano a San Cipriano d’Aversa, dove però Zagaria si appoggiava raramente».
Due facce dello stesso uomo.
Per Rosaria Massa è «il traditore». Per i pentiti, «il fedelissimo». Sono i due ritratti di Giuseppe Inquieto, dunque, il fabbro dei bunker che hanno fatto di Michele Zagaria un fantasma inafferrabile, ma che poi lo avrebbe «venduto». Per 40mila euro. E poi c’è il ritratto che di lui, ieri, ha fatto la Dia. «Paravento» del capo dei capi. Testa di legno del patrimonio dei Casalesi nell’Europa dell’est. «Imprenditore schermo» che, lontano dall’Italia, avrebbe dovuto tenere l’impero al sicuro dai sequestri. Non ci è riuscito.  

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