Dossier per Cosentino per colpire
Cesaro: condannato carabiniere

Dossier per Cosentino per colpire Cesaro: condannato carabiniere
di Mary Liguori
Giovedì 25 Febbraio 2021, 08:34 - Ultimo agg. 26 Febbraio, 12:48
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Il file dello scandalo si chiamava “Vodka” e conteneva in parte notizie sottoposte al segreto d'indagine, in parte informative “modificate” allo scopo di far circolare false informazioni da usare all'occorrenza per ricattare. Condannato a tre anni di reclusione per violazione del segreto d'ufficio ed esclusione dell'aggravante mafiosa l'ex carabiniere Giuseppe Iannini noto come l'uomo dei dossieraggi che avvelenarono il centrodestra napoletano alcuni anni fa.

Per l'ex militare il sostituto procuratore antimafia Fabrizio Vanorio aveva chiesto quattro anni. Iannini fu arrestato nel 2016 con l'accusa di avere divulgato informazioni sottoposte a segreto d'ufficio e di averle “cedute” all'allora sottosegretario Nicola Cosentino.

Finito in manette, l'ex maresciallo confessò di avere sottratto dagli archivi della squadra anticrimine dei carabinieri di Castello di Cisterna alcune informative relative a indagini sul clan Puca in cui era menzionato il parlamentare Luigi Cesaro. All'epoca dell'arresto, Cosentino subì due perquisizioni per l'ipotesi di reato di ricettazione; in una delle case dell'ex esponente di Forza Italia fu ritrovata l'informativa sottratta ai database della polizia giudiziaria, tuttavia per Cosentino non è stato chiesto il giudizio perché non fu provato che fui lui a istigare il carabiniere a impossessarsi di documenti riservati.

L'ex militare, in sintesi, agì di sua iniziativa e non perché “al servizio” di terzi. Cosentino, peraltro, ammise di aver ricevuto il dossier da Iannini – specificando che era stato il carabiniere a proporglielo – ma chiarì di non averne fatto alcun uso. Nel corso del dibattimento, a ogni modo, la Procura è riuscita a provare la sistematicità delle condotte dell'ex carabiniere. Il dossier consegnato a Cosentino non fu, dunque, un “caso isolato”. Anzi. Iannini avrebbe passato notizie al clan Puca in diverse occasioni.

Lo ha riferito il collaboratore di giustizia Claudio Lamino, ex gregario della cosca di Sant'Antimo. Prima del pentimento, peraltro, lo stesso soggetto era stato intercettato mentre con altri parlava dell'arresto di Iannini ed era preoccupato che il carabiniere ormai “bruciato” potesse danneggiare anche il clan. Su queste vicende, a ogni modo, sono in corso altre indagini coordinate dai pm Serio e Loreto. La condanna di ieri, dunque, conferma il ritratto che di Iannini fece il gip Isabella Iaselli nell'ordinanza di custodia cautelare che ne sancì l'arresto.

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