Il file dello scandalo si chiamava “Vodka” e conteneva in parte notizie sottoposte al segreto d'indagine, in parte informative “modificate” allo scopo di far circolare false informazioni da usare all'occorrenza per ricattare. Condannato a tre anni di reclusione per violazione del segreto d'ufficio ed esclusione dell'aggravante mafiosa l'ex carabiniere Giuseppe Iannini noto come l'uomo dei dossieraggi che avvelenarono il centrodestra napoletano alcuni anni fa.
Per l'ex militare il sostituto procuratore antimafia Fabrizio Vanorio aveva chiesto quattro anni. Iannini fu arrestato nel 2016 con l'accusa di avere divulgato informazioni sottoposte a segreto d'ufficio e di averle “cedute” all'allora sottosegretario Nicola Cosentino.
L'ex militare, in sintesi, agì di sua iniziativa e non perché “al servizio” di terzi. Cosentino, peraltro, ammise di aver ricevuto il dossier da Iannini – specificando che era stato il carabiniere a proporglielo – ma chiarì di non averne fatto alcun uso. Nel corso del dibattimento, a ogni modo, la Procura è riuscita a provare la sistematicità delle condotte dell'ex carabiniere. Il dossier consegnato a Cosentino non fu, dunque, un “caso isolato”. Anzi. Iannini avrebbe passato notizie al clan Puca in diverse occasioni.
Lo ha riferito il collaboratore di giustizia Claudio Lamino, ex gregario della cosca di Sant'Antimo. Prima del pentimento, peraltro, lo stesso soggetto era stato intercettato mentre con altri parlava dell'arresto di Iannini ed era preoccupato che il carabiniere ormai “bruciato” potesse danneggiare anche il clan. Su queste vicende, a ogni modo, sono in corso altre indagini coordinate dai pm Serio e Loreto. La condanna di ieri, dunque, conferma il ritratto che di Iannini fece il gip Isabella Iaselli nell'ordinanza di custodia cautelare che ne sancì l'arresto.