«Delitto Mollicone, nella caserma di Arce
c'erano dei carabinieri in servizio»

«Delitto Mollicone, nella caserma di Arce c'erano dei carabinieri in servizio»
di Angela Nicoletti
Sabato 15 Gennaio 2022, 09:19 - Ultimo agg. 11:22
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La mattina in cui è scomparsa Serena Mollicone, nella caserma di Arce c'erano dei carabinieri in servizio. A confermarlo sono stati due testimoni che, ieri mattina, hanno deposto davanti alla Corte d'Assise del tribunale di Cassino. Un dato importante, che va ad avvalorare la tesi della Procura: nel giorno in cui la studentessa diciottenne scomparve ( fu trovata morta in un bosco di Anitrella il 3 giugno del 2001) nella struttura militare c'erano più persone, compreso l'allora comandante, l'ex maresciallo Franco Mottola. I pubblici ministeri Maria Beatrice Siravo e Maria Carmen Fusco hanno focalizzato l'attenzione proprio su questo aspetto.

L'intero dibattimento verte sul sospetto che l'ordine di servizio che registra i movimenti nelle caserme, possa essere stato falsificato. La Procura è convinta del fatto che nel momento in cui Serena Mollicone veniva aggredita, nell'alloggio di servizio a disposizione della famiglia Mottola, negli uffici sottostanti c'era del personale che, in questi anni, potrebbe non aver riferito tutta la verità. L'ordine di servizio rinvenuto dopo la riapertura delle indagini riferisce di alcuni movimenti effettuati dalla pattuglia composta da Vincenzo Quatrale (imputato con l'accusa di istigazione al suicidio e concorso esterno morale in omicidio) e dal brigadiere Santino Tuzi (il militare che l'11 aprile del 2008 si è tolto la vita con un colpo di pistola la petto e dopo aver riferito alla Procura di aver visto entrare Serena Mollicone nella caserma di Arce quel maledetto 1° giugno di ventuno anni fa).

Quatrale, in tutti questi anni, ha sempre riferito di aver effettuato dei posti di blocco e delle notifiche e di non aver visto mai entrare la studentessa poi assassinata. A smentirlo è stato, invece, il brigadiere Santino Tuzi che due giorni prima di togliersi la vita, ha riferito all'allora magistrato Maria Perna, di aver visto Serena nella caserma. Descrive l'abbigliamento, le scarpe e anche la borsa a tracolla che la ragazza indossava e della quale non è mai stata trovata traccia. Con la morte di Tuzi il mistero si infittisce e le sue dichiarazioni per lungo tempo non trovano riscontro. Fino a quando nel 2016 non viene nuovamente riaperta l'indagine.

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L'ordine di servizio torna a essere la chiave di volta degli inquirenti che decidono di riscontrare tutti i movimenti della pattuglia Quatrale-Tuzi. E nell'udienza di ieri, costellata da tanti «non ricordo» di sei testimoni, in due hanno invece confermato quanto dichiarato ai carabinieri nei diversi interrogatori. E cioè che la mattina del 1° giugno entrambi si sono recati nella stazione per motivi personali: un testimone ha riferito che al citofono ha risposto un uomo. Poco prima delle 12. L'altro teste, Pasquale Simone, è stato ancor più dettagliato. «Sono stato ricevuto da un militare che mi ha accompagnato nella stanza del maresciallo Mottola dove mi ha consegnato un certificato provvisorio di circolazione». Conferme che andrebbero quindi ad avvalorare il castello accusatorio della Procura che parla di depistaggi' messi in atto per sviare l'attenzione degli inquirenti dell'epoca. L'udienza è stata aggiornata a venerdì 21 gennaio quando a deporre davanti alla Corte d'Assise, presieduta da Massimo Capurso, sarà l'antropologa forense Cristina Cattaneo, la scienziata che è riuscita a collocare l'omicidio di Serena Mollicone nell'alloggio privato in uso alla famiglia Mottola. Secondo gli accertamenti tanatologici della dottoressa Cattaneo, la povera Serena sarebbe stata colpita con un violento colpo che l'ha portata a sbattere la testa contro la porta. Un urto che l'ha stordita e fatta cadere a terra svenuta. L'aggressore o gli aggressori hanno creduto che fosse morta e quindi le hanno infilato un sacchetto di plastica sulla testa. La diciottenne è morta soffocata dopo sei ore di lenta agonia.
 

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