Il «paradiso» perduto
di Triflisco e dei suoi mulini

Il «paradiso» perduto di Triflisco e dei suoi mulini
Il «paradiso» perduto di Triflisco e dei suoi mulini
di Marilù Musto
Mercoledì 27 Marzo 2019, 16:18 - Ultimo agg. 16:21
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Ciò che resta della storia e della bellezza della borgata di Triflisco a Bellona è un meandro della sorgente del percorso delle fonti. Poi ci sono le oche, eterne occupanti di quello spazio di paradiso. Tutto intorno è evanescente. Si comincia dal cumulo di macerie della parte in disuso di un ristorante che aveva vissuto tempi più splendidi, «Il Vecchio mulino», fino ai sacchetti di spazzatura lasciati all’ingresso della piccola discesa che porta alle fonti. L’erba incolta sul marciapiede lascia immaginare che da quelle parti, i giardinieri del Comune, non ci passano più ormai da mesi. O anche anni.

Eppure, negli anni ‘60, Triflisco era meta turistica d’eccellenza, era il cuore pulsante di un’industria del benessere derivante dalle proprietà dell’acqua nel periodo in cui la politica del dopoguerra favoriva un piano di riforme economiche e sociali come una sorta di New Deal all’italiana. Ben presto, è arrivato il declino.

«La realtà è che è dal 2010 in poi Triflisco è stata abbandonata», spiegano i residenti. «Che fine hanno fatto i 10 ristoranti che circondavano il percorso delle fonti?», si chiedono due anziani nostalgici degli anni ‘80, tornati, domenica scorsa, a Triflisco dopo 30 anni «per l’anniversario di matrimonio». Dei 10 ne è sopravvissuto solo uno. E i Mulini? Questa zona, la stupenda conca di Bellona dove si fermarono le truppe di Annibale durante la seconda guerra punica, pullulava di mulini per il frumento. «Era il 1700», interviene un anziano seduto al bar. Storce il naso, si ripara con la mano dal sole per scrutare chi chiede, chi vuole sapere. Infine, si dà coraggio e inizia a raccontare: «Nel 1700 nacquero una marea di Mulini per frumento, ma nell’immediato dopoguerra la zona venne riconvertita e dove ora c’è il percorso delle fonti, sorsero i bagni caldi. A un certo punto - racconta ancora - le regole stringenti del Governo e della burocrazia bloccarono questa vocazione perché la norma prevedeva la presenza di un presidio dell’Asl e il rispetto di una serie di regole. Così, i bagni caldi furono riconvertiti in ristoranti, hotel per cerimonie ed eventi».

Arrivarono gli anni ‘80. È questo il periodo che la coppia di coniugi in festa per l’anniversario ricorda con nostalgia. L’economia di Triflisco va a gonfie vele. Passano 30 anni. E ora? «Ora qui la politica sembra aver gettato la spugna», sbotta scoraggiato il titolare del bar più rinomato della zona, Franco Ramella. «Sogno una rinascita di Triflisco, non ho perso le speranze», dice Ramella, ultimo discendente di una famiglia nota per aver arricchito le terre di Annibale. Le stesse terre che ora «rimpiangono» uno sviluppo che si è improvvisamente bloccato. «Ci penalizza l’ambiguità dei terreni», dice ancora un cliente del bar. L’acqua e le sue fonti sono infatti di proprietà del Demanio, mente il suolo è di privati imprenditori.

Ma allora, chi deve intervenire per una rinascita di Triflisco? «Noi, con il Puc», risponde il sindaco Filippo Abbate, primo cittadino dal 2012 fino ad oggi. Quindi nel pieno del declino della zona. «Sono stato eletto la prima volta nel periodo del governo Monti, avevamo pochi fondi. Ora con il Puc prevedo un investimento di privati e, in parte, un finanziamento da parte della Regione». Intanto, le oche restano dove sono. In attesa che qualcuno le salvi.
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