Il «Prometeo» di Preziosi all'Anfiteatro Campano: «Un eroe del riscatto»

Il «Prometeo» di Preziosi all'Anfiteatro Campano: «Un eroe del riscatto»
di Claudia Monaco
Sabato 4 Giugno 2016, 12:31
4 Minuti di Lettura
CASERTA - Alessandro Preziosi è in visita in Terra di Lavoro per un sopralluogo nell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere che accoglierà il 24 giugno il monologo «Prometeo», un percorso antologico realizzato assieme a Tommaso Mattei tra scritti di Weil, Goethe, Byron, San Paolo intervallati da brani del mito greco di Eschilo. Lo spettacolo promosso dalla Fondazione Mario Diana onlus, che chiude le celebrazioni per il trentennale della morte dell’imprenditore casertano, vittima innocente della criminalità, è l’incipit della chiacchierata con l’attore in un giorno assolato nel borgo di Pietravairano.

Cosa significa interpretare un testo così significativo in un territorio difficile?
Prometeo è colui che deposita nella nostra cultura classica il concetto della conoscenza, che mette a disposizione degli uomini una serie di strumenti per affrontare la vita primitiva a cominciare dal fuoco e dalla capacità di coltivare la terra. La sorte biblica di questo personaggio e del suo mettere a conoscenza l’uomo degli strumenti che gli servono per vivere gli si ritorce contro tanto da venire affisso in una situazione di violenta e mostruosa sofferenza. E’ metaforicamente legata alla condizione in cui versa il nostro Paese: nonostante gli uomini siano a conoscenza del male che ha tediato le comunità locali hanno continuato in maniera costante a rendere questo territorio invivibile. Il Prometeo rappresenta una sorta di monito, un’esortazione comune. L’etimologia della parola vuol dire guardare oltre, prevedere, presagire. Il significato metaforico è quello di invitare la gente a guardare oltre, verso il futuro.

In Prometeo è possibile scorgere tutte le lotte per il bene comune compiute da uomini che hanno pagato con la vita, come l’imprenditore Mario Diana a cui è intitolata la Fondazione e Don Peppe Diana la cui storia hai portato sul piccolo schermo?
Certo. In occasione dello spettacolo su Sant’Agostino al Belvedere di San Leucio l’omonimia fu incredibilmente importante perché entrambi si erano «sacrificati per». È questo il senso del Dio che diventa Uomo nella sua esposizione al dolore che viene perpetuato ogni giorno, sistematicamente, come una tortura da Inferno dantesco: ogni giorno un’aquila gli becca il fegato, lo fa sanguinare, qualsiasi altro uomo morirebbe ma lui è un titano. Ciò che lo rende umano è la rabbia, il senso di vendetta nei confronti di un Dio che non ha riconosciuto in Prometeo il suo tentativo di mettere a conoscenza l’uomo della possibilità di essere Dio di se stesso. Il messaggio è non fate come Prometeo ma cercate di cogliere nelle sue parole il tentativo e la rabbia di uscire fuori dall’imposizione.

È la tua prima volta all’Anfiteatro Campano?
Si e non vedo l’ora. È la stessa emozione provata al Belvedere di San Leucio, quella sera c’erano 1600 persone. Una meraviglia.

Prometeo e Spartaco, due rivoluzionari. La scena incrementa il valore del contenuto?
È indubbio. Per me però è più interessante quando il luogo non è complementare. Come attore preferisco evocarlo che averlo già comodamente intorno a me. Posso dire che potrebbe essere più facile ma la classicità ha bisogno di un ambiente che aiuti non tanto l’interprete quanto chi lo ascolta.

Cosa porteresti alla Reggia di Caserta?
Cercherei di rappresentare una saga, magari un’opera di De Roberto. Racconterei la storia dei Vicerè, dell’Impero, proprio lì dentro. Sarebbe proprio bello. Ci sono dei luoghi che per essere realmente compresi nella compenetrazione testo-suggestione-musica, hanno bisogno di maggiore continuità. E’ la progettualità quello che rende un posto più vicino all’attenzione e alla ricettività del pubblico. Per questo sono felice di collaborare ancora con la Fondazione Mario Diana: c’è dentro una progettualità interessante.

La Fondazione cosa  aggiunge al tuo bagaglio di esperienze umane ed artistiche?
Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, quindi non si aggiunge nulla se non la costanza, la continuità con la quale mi sono affacciato tanti anni fa con il film su Don Diana, oggi con la conoscenza della storia di Mario Diana assieme ai suoi parenti.

Qual è il tuo messaggio per le nuove generazioni?
Cercare di creare la struttura per poter fare questo lavoro. Non pensare a fare semplicemente l’attore o il disegnatore luci o l’organizzatore ma creare le fondamenta con lo studio. L’obiettivo del progetto Prometeo è quello di guardare oltre: è una bellissima formula poetica, ha una etimologia molto accattivante, ma chi riesce a concretizzarla può rendere tutto possibile. Spero di essere un punto di riferimento per questo progetto ma al di là del luogo. Occorre invece cambiare prospettiva, quella che include implicitamente e che dà la possibilità come se fossimo a Ginevra o nella parte più evoluta del mondo. L’importante è che ci siano i presupposti affinché questa cosa avvenga, dei fondi, una Regione che si interessa, e perché a farlo siamo i migliori.
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