Ilside, la Procura chiede il giudizio per il sindaco

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di Marilù Musto
Mercoledì 15 Novembre 2017, 17:05 - Ultimo agg. 17:30
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CASERTA. È il «manifesto» della cattiva gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani. L’Ilside di Bellona, l’impianto di trattamento di rifiuti che ha ingoiato veleni per circa venti anni - prima con i consorzi Conai, Corepla e Comieco e poi con l’emergenza rifiuti in Campania nel 2007 - è un calderone che nessuno vuole svuotare. E se, da un lato, gli incendi della Ilside avvelenano il territorio, dall’altro si apre un fascicolo investigativo, ad agosto, in cui il Comune di Bellona compare in qualità di vittima. Intanto, si chiude un altro fascicolo-gemello con la richiesta di rinvio a giudizio per cinque persone. Sul banco degli imputati, però, c’è proprio il Comune.
Anzi, peggio: c’è il sindaco Filippo Abbate accusato dal pm Sergio Occhionero di abuso d’ufficio e omissioni di atti d’ufficio. La notizia vera è che la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha chiesto il processo per i cinque indagati. L’udienza preliminare ci sarà a gennaio e vedrà seduti nei banchi degli accusati, oltre ad Abbate, anche l’imprenditore Luciano Sorbo, il socio Francesco Passaro - rispettivamente proprietario e amministratore della Esogest srl - e i funzionari comunali Luigi Fusco e Achille Gargiulo.
I comitati civici di Bellona potrebbero, a questo punto, costituirsi in giudizio per la mancata bonifica della Ilside. Da luglio, mese in cui è scoppiata la «bolla ecologica» con l’ennesimo incendio di rifiuti speciali e l’avvelenamento dell’aria, i cittadini hanno promosso una serie infinita di manifestazioni che hanno imposto un’accelerata anche al passaggio da un ufficio all’altro dei fascicoli d’indagine nati nel 2013. L’inchiesta del Noe, venuta a galla quattro anni fa, ruotava intorno all’emissione dell’ordinanza numero 23 del 15 novembre 2013 considerata dalla magistratura «illegittima». Il Comune avrebbe affidato i lavori di pulizia del sito alla società Esogest srl, ma la procedura sarebbe avvenuta senza procedere all’affidamento esatto, ma solo per consentire alla società di «lucrare sull’attività in questione in assenza di un’effettiva controprestazione». In parole semplici, la procedura di affidamento della bonifica è poco chiara. Il sindaco, inoltre, per laProcura, non avrebbe mosso un dito per sollecitare la pulizia dell’Ilside.
Si conosce solo il motivo dell’accelerazione delle pratiche burocratiche legate all’affidamento dei lavori per la bonifica nel 2013: lo sblocco dei fondi della regione Campania. Poco è successo da allora. «Ho solo fatto il mio dovere - dichiara adesso Abbate - volevo la bonificato al più presto».
C’è però un terzo canale che sta attirando l’attenzione dei magistrati della sezione «criminalità economica». E che potrebbe colpire i vertici dell’Ilside. È il filone del fallimento mancato. In sostanza, la procura di Santa Maria Capua Vetere ha presentato richiesta di iniziativa di fallimento nei confronti della Ilside. Si tratta di una mossa che, di solito, viene «sfoderata» dai creditori che battono cassa all’impresa che non paga, ma quando l’insolvenza emerge in maniera chiara dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’ha rilevata nel corso di un procedimento civile, un magistrato inquirente può chiedere il ricorso di fallimento. Un atto che anticipa un’inchiesta per bancarotta sull’Ilside che potrebbe già essere nata nell’ufficio giudiziario retto da Maria Antonietta Troncone e da Antonio D’Amato.
Le ombre si addensano soprattutto sulla procedura che svendeva il sito per poco più di 50 mila euro. L’indagine è nella fase embrionale.
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