Imprenditori sotto scorta, il pentito
«Non sono vittime dei Casalesi»

Imprenditori con la scorta, il pentito: «Non sono vittime»
Imprenditori con la scorta, il pentito: «Non sono vittime»
di Marilù Musto
Sabato 4 Novembre 2017, 07:55 - Ultimo agg. 12:29
2 Minuti di Lettura
Gli imprenditori della società «Pi.ca. Holding» hanno goduto della scorta delle forze dell’ordine disposta dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli nel 2007, ma non erano proprio vittime del clan dei Casalesi. Questo, in sintesi, è emerso durante l’interrogatorio in aula nel tribunale di Napoli del collaboratore di giustizia Giuseppe Misso, ex affiliato al clan, fedelissimo del boss Francesco Schiavone «Sandokan».

Processo Medea, ultime battute. Il procedimento sta percorrendo la strada in direzione della fine. Ieri, erano collegati con l’aula di giustizia tutti gli imputati: Giuseppe Fontana conosciuto come Pino, di Casapesenna, Orlando Fontana e Tommaso Barbato, ex senatore dell’Udeur.

Il pubblico ministero della procura Antimafia, Maurizio Giordano, ha interrogato per oltre un’ora il pentito del clan dei Casalesi, nello stesso giorno in cui si sono seduti davanti ai giudici anche i due imprenditori della Pi.ca. Holding: Francesco Piccolo e Raffaele Cantile, giovani e rampanti «signori del mattone» impegnati nella ricostruzione di alcuni edifici colpiti dal terremoto del 2012 in Emilia. Fino a due anni fa erano considerati vittime del clan, ma i prefetti di Milano e quello di Modena li hanno poi inseriti nella «black list» dopo che un ramo d’azienda della Co.Ge.Fon. dell’impresa di Pino Fontana, considerato dagli inquirenti legato al boss Zagaria, era stato ceduto all’azienda di Nonantola, la Pi.Ca., appunto. In realtà, già le parole verbalizzate dal dirigente del commissariato di Castellammare di Stabia, Andrea Vincenzo Curtale nel 2015 avevano già fatto ipotizzare presunti legami fra i titolari della Pi.ca e Fontana.
Piccolo e Cantile, gli imprenditori ai quali è stata tolta la scorta, ieri si sono poi seduti sul banco dei testimoni chiamati a deporre dalla difesa dei Fontana. «In sostanza - ha spiegato il collaboratore di giustizia Misso - quando Sigismondo Di Puorto pianificò e mise a segno l’attentato a Cantile e Piccolo in Emilia, il boss Michele Zagaria s’infuriò e voleva far fuori Di Puorto. A quel punto intervenni io per conto degli Schiavone, spiegando che anni prima un uomo di Zagaria, Michele Barone, aveva partecipato alla sparatoria che ferì l’ingegnere Severino, considerato un nostro uomo di fiducia. Anche gli Schiavone all’epoca avrebbero dovuto far fuori Barone, ma non lo fecero risparmiandogli la vita. E così, convinsi il capo Zagaria a star fermo. E salvai la vita a Di Puorto».
Alle accuse di Misso i due imprenditori, ora residenti in Emilia Romagna, hanno risposto raccontando dell’attentato subito in provincia di Bologna, nella sede dell’impresa: «Riempirono di liquido infiammabile un bidone che utilizzavamo per depositare gli attrezzi e gli diedero fuoco». 
Denunciarono tutto alle forze dell'odine e fecero arrestare i responsabili. Per questo loro atto di coraggio la Dda dispose la scorta per entrambi. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA