L'Inferno delle pietre spoliate
seppellite dall’indifferenza

Una statua murata a Capua
Una statua murata a Capua
Marilu Mustodi Marilù Musto
Lunedì 5 Settembre 2022, 17:56
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Anche le pietre hanno un’anima. Un volto, una toga e persino la dea Flora con la cornucopia in una mano e una spiga di grano nell’altra, un leone e un liberto «gridano» agli angoli delle nostre strade. Sono pietre imprigionate nei muri, costrette a essere attraversate da tubi di sgocciolo del condizionatore di una parrucchiera, incorniciate da bottiglie di acqua per evitare l’urina dei cani, macchiati dalla vernice gialla della parete accanto che un pittore poco attento ha fatto traboccare. A vederle, i passanti e i turisti si scambiano occhiate interrogative con la familiarità degli sconosciuti che condividono il disappunto per un pezzo da museo abbandonato. Capua, Santa Maria Capua Vetere, Calvi Risorta, Pignataro Maggiore e Caserta, ma anche Teano e Alife, sono le città che hanno più pietre di spolio rispetto alle altre, quelle che la presidente Unesco Caserta, Jolanda Capriglione, analizza nel suo libro Petra Narrat. «Non possiamo sapere da dove vengono - spiega Capriglione - possiamo, tuttavia, ipotizzare che il luogo di provenienza non sia tanto distante. Pensiamo all’Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, ma anche Pompei».

DOMANDA SENZA RISPOSTA
Ma come fare per numerare e censire tutte le pietre di spolio che sono state rubate nei secoli dagli Anfiteatri o da una vecchia urbs? I privati le utilizzano per abbellire le case, ma possono farlo? Sì, perché questa storia di antiche ruberie non si può ricostruire. «È impossibile tutelare le pietre, la Soprintendenza è piena di lavoro, per anni ho bussato alla porta dei tecnici della Soprintendenza che si occupano di beni culturali, ma è stato del tutto inutile. Nessuno mi dava retta», insiste Capriglione. E così, si assiste al depauperamento di un patrimonio storico - del II secolo D.C., in linea di massima - con materiale di tufo. A Capua le traverse di corso Gran Priorato di Malta sono stracolme di pietre spoliate: un volto di qua, una dea di là e così via. Ma cosa sono? «Elementi di antichi monumenti romani come colonne, lapidi, un sarcofago, ad esempio, o bassorilievi riutilizzati per costruire chiese e palazzi di epoche successive», racconta Pasquale Liccardo, guida turistica. «Camminando per i gementi centri storici di cittadine come Alife, Teano o Capua non mancano queste epifanie marmoree che scombussolano un muro medievale o un portone rinascimentale facendoci catapultare in un paesaggio urbano diverso e ben più antico.

Come guida turistica ho notato che questi relitti murati attirano spesso l’attenzione dei visitatori che non sempre riescono a comprendere perché una lapide funeraria romana venga utilizzata come base (piedritto) di un portale del XVII secolo». Tolte da un posto e posizionate in un altro: il destino delle pietre è avverso. Sono come animali in gabbia costrette a vivere secoli senza protezione. A Sala di Caserta, per esempio, c’è il busto di un togato circondato da sacchetti di spazzatura. A Calvi Risorta c’è la Madonna di Grazzano, Madonna delle Grazie dipinta su una chiesa del Medioevo. Poco più in là, ci sarebbe una villa romana. Sulla prassi di «rubare» pietre dai siti storici e murarli nelle case regna la tendenza dell’apparire, l’avere senza essere di privati cittadini. In una traversa di corso Gran Priorato di Malta la dea Flora è coperta dai tubi del condizionatore di una parrucchiera. «Ciò che il Comune potrebbe fare per tutelare le pietre è quello di obbligare i titolari dei palazzi che hanno ereditato queste pietre a conservarle nel miglior modo possibile». A fare una ricognizione di tutte le pietre, è stato Simone Foresta della Soprintendenza Archeologia delle belle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento. E poi? Nulla. A Capua non si riesce magistralmente a percorrere le vie principali senza trovarsi di fronte un volto intento a urlare. In Petra Narrat, la professoressa Capriglione unisce i racconti meravigliosi di Capua ipotizzando la provenienza dall’Anfiteatro. Le pietre parlano di storie di antichi trionfi, di signore, schiave e di saccheggi, ma soprattutto di Capys. Grazie a queste pietre possiamo ritornare a vedere l’antica città di Calatia che sopravvive fra gli edifici di Maddaloni o Caserta Vecchia, la florida città di Atella riaffiora qua e là fra le chiese di Aversa e i palazzi di Sant’Arpino o Succivo. La bellezza di queste pietre lavorate, in realtà, è inquieta: sbattono le ali come se cercassero un’uscita per volar via dai muri delle città e tornare nei musei, protette, per raccontare meglio una storia che fu. La nostra.

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