Anche le pietre hanno un’anima. Un volto, una toga e persino la dea Flora con la cornucopia in una mano e una spiga di grano nell’altra, un leone e un liberto «gridano» agli angoli delle nostre strade. Sono pietre imprigionate nei muri, costrette a essere attraversate da tubi di sgocciolo del condizionatore di una parrucchiera, incorniciate da bottiglie di acqua per evitare l’urina dei cani, macchiati dalla vernice gialla della parete accanto che un pittore poco attento ha fatto traboccare. A vederle, i passanti e i turisti si scambiano occhiate interrogative con la familiarità degli sconosciuti che condividono il disappunto per un pezzo da museo abbandonato. Capua, Santa Maria Capua Vetere, Calvi Risorta, Pignataro Maggiore e Caserta, ma anche Teano e Alife, sono le città che hanno più pietre di spolio rispetto alle altre, quelle che la presidente Unesco Caserta, Jolanda Capriglione, analizza nel suo libro Petra Narrat. «Non possiamo sapere da dove vengono - spiega Capriglione - possiamo, tuttavia, ipotizzare che il luogo di provenienza non sia tanto distante. Pensiamo all’Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, ma anche Pompei».
DOMANDA SENZA RISPOSTA
Ma come fare per numerare e censire tutte le pietre di spolio che sono state rubate nei secoli dagli Anfiteatri o da una vecchia urbs? I privati le utilizzano per abbellire le case, ma possono farlo? Sì, perché questa storia di antiche ruberie non si può ricostruire. «È impossibile tutelare le pietre, la Soprintendenza è piena di lavoro, per anni ho bussato alla porta dei tecnici della Soprintendenza che si occupano di beni culturali, ma è stato del tutto inutile. Nessuno mi dava retta», insiste Capriglione. E così, si assiste al depauperamento di un patrimonio storico - del II secolo D.C., in linea di massima - con materiale di tufo. A Capua le traverse di corso Gran Priorato di Malta sono stracolme di pietre spoliate: un volto di qua, una dea di là e così via. Ma cosa sono? «Elementi di antichi monumenti romani come colonne, lapidi, un sarcofago, ad esempio, o bassorilievi riutilizzati per costruire chiese e palazzi di epoche successive», racconta Pasquale Liccardo, guida turistica. «Camminando per i gementi centri storici di cittadine come Alife, Teano o Capua non mancano queste epifanie marmoree che scombussolano un muro medievale o un portone rinascimentale facendoci catapultare in un paesaggio urbano diverso e ben più antico.