Il boss come un leone ferito. Messo alle strette, si morde la coda, ringhia dietro le sbarre. E quando il giudice gli concede la parola, tuona contro lo Stato ingenuo, impegnato nella «missione» di farlo pentire. Definisce il magistrato della Dda un «signore», non riconoscendone l'autorità. E dice che non «permette a nessuno, tantomeno al signor Maurizio Giordano» di nominare le sue nipotine.
LA LEGGE DEL CLAN
Perché i bambini non si toccano, secondo una regola non scritta di mafia. Si dimena nella saletta del carcere di L'Aquila, chiede alla polizia penitenziaria di sollecitare il collegamento con l'aula di giustizia di Aversa, altrimenti succede il finimondo. Alla fine, ottiene ciò che vuole: interrompe la testimonianza del maggiore della Dia, Fabio Gargiulo, colui che ha indagato sulle tre cognate del «capo dei capi». E che ha messo nei guai le donne dei fratelli del padrino. Per prima, Francesca Linetti che ora vive a Cremona, la moglie di Pasquale Zagaria «Bin Laden», e poi le altre due, Paola Martino e Tiziana Piccolo, condannate ciascuna a 3 anni per ricettazione.
LA SORTITA
È un Michele Zagaria che fa quasi pena, quello che si agita e si dondola sulla sedia nella saletta videocollegata con l'aula del tribunale di Napoli nord, durante il processo per associazione mafiosa in cui lui è l'unico imputato. Non può far altro che sbraitare.
LA TENSIONE
I nervi gli saltano quando il maggiore dei carabinieri della Direzione investigativa Antimafia, Gargiulo, spiega al giudice Francesco Chiaromonte il senso dell'intercettazione fra Francesca Linetti e Tiziana Piccolo, consorte di Carmine Zagaria: «Hai visto com'è stata brava la bambina quando ha parlato con lui?». Questa frase, sinteticamente, trascritta e inserita nell'ordinanza delle «donne» targate Zagaria, poteva essere interpretata in molti modi. Uno di questi era quello più plausibile: la nipote di Zagaria sarebbe stata talmente «brava» da ascoltare le parole dello zio, durante un colloquio in carcere, al punto da trasferirle all'esterno. Ipotesi.
LA RABBIA
Ma questa esegesi fa infuriare il boss ergastolano che chiede la parola: «Non consento al maggiore Gargiulo e al signor Giordano di insinuare una cosa simile, le mie nipoti non c'entra nulla», grida. Il giudice Chiaromonte lo blocca e pretende che il boss chiami il pm Maurizio Giordano con il suo titolo di sostituto procuratore della Repubblica. Il boss glissa e riprende a spiegare che le interpretazioni degli inquirenti delle sue frasi hanno solo uno scopo: «Vogliono indurmi al pentimento, ma si sbagliano, tutti - urla - io mi sono pentito solo di fronte a Dio, dal primo furto di ciliegie fino ad ora, ma non mi pentirò mai davanti ai magistrati».
LE ACCUSE
E giù con accuse, pensatissime, al pm Giordano, ma anche a Catello Maresca: «Ho ricevuto pressioni da agenti della penitenziaria che mi chiedevano di ricucire lo strappo con Maresca». Messaggi chiari: il boss è ancora lui. Indiscusso. E fuori, appena uscito da galera, c'è il presunto «successore» di Zagaria, Filippo Capaldo, figlio di Beatrice Zagaria e Raffaele Capaldo, condannati per l'estorsione alla faggianeria di Piana di Monte Verna. Filippo Capaldo è uscito dal carcere il 6 luglio del 2018. E le parole di Michele Zagaria potrebbero essere un messaggio chiaro, anche se quando gli viene riconosciuta la possibilità di gridare, il capoclan smette di ruggire. A quel punto intervengono i giudici e l'avvocato, Paolo Di Furia. Riprende l'udienza e il maggiore Gargiulo ribadisce l'interpretazione della frase sulla nipotina. Punta a favore dell'accusa: il boss non fa paura. Questo basta, però, per chiedere la trasmissione del verbale in Procura da parte del pm Maurizio Giordano.
L'ira del boss Zagaria al processo:
«Giudice, taci sulle mie nipotine»
di Marilù Musto
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Sabato 16 Marzo 2019, 09:11
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