L'ortofrutta era il tesoro. I tir carichi di alimenti da Marsala a Fondi erano il carro pieno con i buoi. I supermercati? Un baule d'oro.
La mafia revisionista della Sicilia occidentale di Matteo Messina Denaro si muoveva in questo cerchio di soldi perché aveva stretto un patto con l'ala imprenditoriale del clan dei Casalesi grazie a due ganci: Antonio e Massimo Sfraga, ex ras siciliani, «compagni di viaggio» e probabilmente di affari di Costantino Pagano, titolare di una importante azienda di trasporti su gomma di San Marcellino -nel casertano - accusato di associazione camorristica, concorrenza illecita, armi e intestazione fittizia di beni.
In verità, il legame fra Casalesi e mafia siciliana ha radici profonde piantate da Antonio Bardellino alleato un tempo di Lorenzo Nuvoletta - i Nuvoletta erano, a loro volta, alleati di Cosa Nostra siciliana - perfettamente inseriti nella Cupola degli anni settanta e primi anni ottanta. La storia racconta che i napoletani ospitassero i mafiosi nella loro tenuta di Marano, memori di quanto avesse già fatto per questa «sacra alleanza» il boss di Giugliano Alfredo Maisto, mediatore per eccellenza fra i siciliani di Bontade e i marsigliesi per il contrabbando di sigarette e droga. A causa di questa confederazione mafiosa morì anche il povero Franco Imposimato, vittima di una vendetta trasversale della «stidda» di Pippo Calò nei confronti di Ferdinando Imposimato, il magistrato maddalonese che a Roma nel 1983 stava scoprendo la vera identità di Mario Aglialoro (pseudonimo del mafioso Calò) che si nascondeva, da latitante, a Roma. Lo stava per scoprire prima che Tommaso Buscetta lo rivelasse a Giovanni Falcone. E così, per bloccare Ferdinando la mafia chiese il «favore» ai Casalesi di eliminare Franco Imposimato, ucciso mentre rientrava a casa dal lavoro con la moglie e il loro cagnolino, che rimase calmorosamente illeso.
In tempi più recenti, però, bisogna per forza rinviare all'alleanza fra gli Sfraga e Pagano per trovare tracce giudiziarie che sanciscano l'unione. E infatti, nel 2010 (13 anni fa) si accorsero di questo «asse» i magistrati Antimafia di Napoli - Cesare Sirignano prima e Graziella Arlomede poi - e ne certificò l'esistenza anche il giudice Antonio Cairo che, da gup, condannò Costantino Pagano di San Marcellino a 14 anni di reclusione e a tre anni per concorrenza illecita aggravata dal metodo mafioso i fratelli Antonio e Massimo Antonino Sfraga, ritenuti legati al boss Matteo Messina Denaro, arrestato ieri. Per i magistrati, gli Sfraga imponevano la merce proveniente da Fondi trasportata da società a loro vicine, ai supermercati di Castelvetrano e Marsala, soprattutto.
Condannati, poi assolti, condannati di nuovo e, infine, usciti di scena con una sentenza annullata dalla Cassazione a luglio scorso (gli atti sono tornati in corte di Appello), i fratelli Sfraga erano il braccio operativo di Messina Denaro - per l'antimafia di Napoli - che aveva intrecciato rapporti con i Casalesi. La cupola trapanese di Matteo Messina Denaro si era adattata facilmente agli eventi: era revisionista perché non teneva conto dei patti già aperti fra Totò Riina e la camorra negli anni precedenti; era moderna perché riuscì ad arrivare al core business dell'agrimafia. Senza dimenticare che a oltre dieci anni dai fatti contestati, gli Sfraga sono ancora in lotta a discutere delle loro responsabilità, segno che sono disposti a dare anche la libertà in cambio degli affari, ma non a regalarla. In attesa del prossimo patto fra le due mafie.
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