«Heven e Vincenzo vivevano insieme ma era solo una solida amicizia, nient’altro»

«Heven e Vincenzo vivevano insieme ma era solo una solida amicizia, nient’altro»
di Gigi Di Fiore
Domenica 30 Luglio 2017, 13:07 - Ultimo agg. 22:36
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La casa di via Boccacio ad Aversa, dove negli ultimi due mesi Vincenzo viveva con Heven, è ora sotto sequestro. Luogo del delitto, dove i carabinieri cercano ancora tracce. La casa di famiglia a Parete è invece sbarrata. Maria Esposito non vuole vedere nessuno che non siano i suoi tre figli, o l’avvocato Luca Cerchia. «Scusatemi, ma non è stato ancora trovato il corpo di mio figlio, non mi sento di parlare né dichiarare nulla» manda a dire. Dalla scomparsa di Vincenzo se ne sono sentite tante. Che lui era andato via di casa, perchè non era accettato in famiglia, che il suo outing ormai datato non era stato mai visto bene dai suoi genitori. E invece gli amici smentiscono.

Francesco Aliberti Giuliani, il ragazzo che la sera del delitto ha aspettato invano Vincenzo per brindare alla promozione ricevuta come “sales assistant” al negozio Carpisa nel centro commerciale Campania di Marcianise, dice: «Vincenzo amava la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro. Casa Ruggiero è sempre stata aperta per qualsiasi amico, senza discriminazioni razziali o sessuali. Io personalmente la consideravo una seconda casa. I genitori sono persone disponibili, che hanno sempre aggiunto un piatto a tavola a chiunque arrivasse senza preavviso». Una famiglia accogliente, che sapeva da tempo del figlio gay che non ne faceva mistero, partecipava a tutti i Pride, portava a casa amici con cui condivideva confidenze e che erano anche amici della sorella.

Alcuni di quegli amici chiamavano «zia» la mamma di Vincenzo. Amici gay e amiche del cuore anche donne, come Raffaella Russo. Per tutti la porta era aperta. E nessuno vuole spiegare la scelta di Vincenzo di andare a convivere con Heven. Tutti parlano di un ragazzo aperto, sempre sorridente, preciso nel suo lavoro che gli dava soddisfazioni e amava. Un ragazzo che frequentava piazza Bellini a Napoli con altri amici gay, che ascoltava la musica di Laura Pausini e Mango. Ma uno degli amici, che non vuole essere citato, racconta: «Aveva avuto altre discussioni con quel Ciro. Quello era geloso, aveva conosciuto Heven quando era ancora minorenne e non aveva avuto l’intervento. Ne era follemente geloso e non gli andava giù che lei avesse accolto Vincenzo a casa sua».

Eppure, tra Vincenzo e Heven non c’era alcuna relazione d’amore. Lei lo aveva anche ripetuto ai carabinieri: «È solo un mio amico, tra noi non può esserci nulla». E poi aveva scritto su Facebook, rivolgendosi a Vincenzo che ancora non si trovava, quando era scomparso da 5 giorni: «Mi manca sentirti cantare in giro per casa, mi mancano le nostre chiacchierate quotidiane, i tuoi interminabili riassunti sul lavoro, le tue buffe esclemazioni improvvise, i nostri stupidi litigi su cosa è giusto e su cosa è sbagliato. Mi manca potermi prendere cura di te». Di certo Ciro di Heven era innamorato con passione. E, nei giorni in cui Vincenzo non si trovava, l’aveva più volte rassicurata: «Si troverà, vedrai, tornerà».

 


Un atteggiamento rassicurante tenuto a distanza anche con la famiglia del ragazzo che aveva invece già ucciso. E, quando in caserma ha confessato il delitto ai carabinieri, nella stanza accanto c’era Heven che gli ha mandato un sms: «Mi hai ingannato fino all’ultimo», gli ha scritto. Poi, per lei la necessità di trovare dove dormire, in attesa che i carabinieri finiscano il loro lavoro nella casa di via Boccaccio. Alla sua amica trans Alessia Cinquegrana, sposata e trasferitasi a Pescara, Heven ha detto di «non voler parlare con nessuno». E ha cercato qualcuno che la ospitasse, lontano dalla curiosità indiscreta della gente. Un triste epilogo per Vincenzo. E la comunità gay ne piange la morte violenta. Un’altra come tante in precedenza.

In serata, in piazza Bellini a Napoli, una fiaccolata per ricordarlo. Il presidente di Arcigay Napoli, Antonello Sannino, lancia un allarme: «Da tempo denunciamo l’esistenza di una grave urgenza sociale e chiediamo a magistratura e polizia di non abbassare la guardia. Mi riferisco al clima di odio diffuso che ancora si respira attorno alle persone Lgbt. Continuano scomparse e omicidi, su cui chiediamo che le indagini non si arenino». Prima di Vincenzo, c’erano stati altri due casi, negli ultimi mesi, di gay uccisi. Il 10 giugno scorso, legato e avvolto in una coperta, in un cassonetto del quartiere Forcella a Napoli venne trovato morto un giovane transessuale che era conosciuto con il nome di Simo.

Sei giorni dopo, invece, nel bosco di Capodimonte sempre a Napoli fu ritrovato il cadavere di un 23enne polacco, Alex. Era scomparso da 17 giorni, dopo la fine della relazione con il suo compagno Massimiliano. Ancora misteriosa, poi, la scomparsa di Luigi Celentano, un diciottenne della costiera sorrentina che non ha più dato sue notizie dal due febbraio scorso. Vicende che hanno fatto, anche nelle ultime ore, lanciare l’allarme nella comunità gay. E, pochi giorni fa, un altro episodio denunciato alla polizia: Simone Manfrellotti, un militante di Arcigay Napoli originario di Casalnuovo, è stato seguito da due uomini che gli hanno urlato «Questo ne è un altro». I due hanno tentato di picchiarlo, ma Simone è riuscito a fuggire. Un clima che l’Arcigay Napoli definisce di «nuova omofobia». Anche se la storia di Vincenzo è altra cosa. Una storia di gelosia, passione, violenza e morte con caratteristiche che prescindono dai gusti sessuali. Storie come quella triste e drammatica di Vincenzo sono comuni anche tra gli eterosessuali.

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