Attivista gay ucciso e fatto a pezzi, arrestato il complice dell'ex militare: inchiodato da trenta telefonate

Attivista gay ucciso: arrestato complice di Guarente
Attivista gay ucciso: arrestato complice di Guarente
di Mary Liguori
Venerdì 11 Agosto 2017, 17:12 - Ultimo agg. 12 Agosto, 22:10
2 Minuti di Lettura

Uno gli ha fornito l'arma, l'altro lo ha aiutato a distruggere il cadavere. I tasselli del puzzle dell'orrore stanno andando a posto. Lentamente, come se emergessero dalle sabbie mobili. I mostri, due dei tre mostri, hanno un nome e un volto. Ciro Guarente ha avuto due complici. Uno di loro ieri è stato arrestato. Si tratta di Francesco De Turris. Ma forse manca all'appello un terzo uomo. Entrambi di Ponticelli, entrambi residenti in via Scarpetta, nelle stesse palazzine popolari in cui abita la famiglia di Guarente. L'assassino di Vincenzo Ruggiero ha chiesto aiuto a De Turris prima di uccidere e anche dopo. Trenta telefonate tra il 6 e l'8 luglio incastrano entrambi, tant'è che hanno confessato. Per procurarsi la pistola, Guarente ha contattato De Turris. «Devo litigare con uno che sta dando fastidio alla mia fidanzata, anzi lo devo proprio ammazzare», gli ha detto. Ciro, per la verità, un'arma se l'era già procurata: una calibro 22. Ma De Turris gli ha detto che con quel piccolo revolver poteva uccidere «le lucertole». Così ha preso per sé la 22 e gli ha dato una 7 e 65. Dopo avere ammazzato Vincenzo, Ciro ha riconsegnato la pistola a De Turris e quest'ultimo l'ha smontata e ha buttato i pezzi nei cassonetti della spazzatura. 
 


Francesco De Turris, 51 anni, è uno spacciatore di cocaina, ma i clan, a Ponticelli, non l'hanno mai «autorizzato» a vendere la droga, tant'è che un anno gli spezzarono una gamba. La punizione degli sgarristi dei De Micco, però, non ha spento la sua brama di «potere», tant'è che poi si è impossessato di un campetto comunale per il calcio a 5 e, quando la struttura è stata affidata a una associazione, sia gli spogliatoi che le giostrine dell'area adiacente sono state misteriosamente distrutte. Un «capetto», dunque, un aspirante capozona di un quartiere a ridosso del Conocal dove, dopo una breve e sanguinosa faida contro i D'Amico, si è imposto il clan De Micco. A quel «capetto», Guarente, incensurato e inesperto si è rivolto per «fare e per apparare il guaio», come si dice da queste parti. 

Continua a leggere sul Mattino Digital

© RIPRODUZIONE RISERVATA