Brigadiere in cella, la «soffiata»
del capo inguaia 4 carabinieri

Brigadiere in cella, la «soffiata» del capo inguaia 4 carabinieri
di Leandro Del Gaudio
Sabato 21 Aprile 2018, 10:07
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Sono accusati di omissione in atti di ufficio e di rivelazione di atti coperti da segreto istruttorio, quanto di peggio per chi in questi anni ha rappresentato lo Stato in terra di camorra. Quattro carabinieri, sono i presunti componenti della «squadra» di Lazzaro Cioffi, il brigadiere dei carabinieri di Maddaloni, in servizio al nucleo investigativo a Castello di Cisterna, da due giorni in cella nel corso di una retata della Dda. Due giorni fa, dunque, altri quattro carabinieri sono stati convocati in Procura e hanno avuto modo di ascoltare le accuse mosse nei loro confronti.

Avrebbero rivelato a Lazzaro Cioffi l'esistenza di una indagine a suo carico, mettendolo in guardia sulla presenza di una attività di intercettazione in corso. Una soffiata, che avrebbe indotto lo stesso Cioffi a gettare via il telefono che avrebbe usato nei suoi rapporti - oggi finiti al centro delle indagini - con un presunto boss del narcotraffico, vale a dire quel Pasquale Fucito, detto «Shreck», indicato come uno dei manager del sistema delle piazze di spaccio all'interno del Parco Verde di Caivano. Indagine condotta dal pm anticamorra Mariella Di Mauro, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, agli atti spiccano conversazioni tra Cioffi e la moglie (Emilia D'Albenzio, da due giorni agli arresti domiciliari), ma anche il racconto di alcuni pentiti: con una serie di fughe di notizie, Lazzaro avrebbe di volta in volta favorito il gruppo di Fucito, che ricambiava i favori con denaro e regali.

Uno brutto spaccato di relazioni, su cui questa mattina lo stesso Cioffi potrà replicare e fornire la propria versione. Difeso dal penalista Bruno Cervone (che assiste anche la D'Albenzio), questa mattina tocca a Lazzaro Cioffi.
Un caso che riaccende l'attenzione su un militare che venne tirato arbitrariamente in ballo per un'altra vicenda di cronaca accaduta in Campania. Conviene aprire un inciso su Lazzaro Cioffi, anche per spegnere sul nascere strane suggestioni: nel 2010, una fonte indicò in Lazzaro Cioffi uno dei carabinieri presenti ad Acciaroli nello stesso giorno in cui venne ammazzato il sindaco Angelo Vassallo. Il suo nome venne accostato a fatti di droga, che sarebbero stati gestiti con il via libera di qualche carabiniere infedele, al punto tale da rendere necessarie alcune verifiche.
Accertamenti condotti dalla titolare dell'inchiesta sulla morte del sindaco pescatore, l'allora pm Rosa Volpe (oggi procuratrice aggiunto a Napoli), che hanno dato esito negativo. Stando a quanto risulta al Mattino, Lazzaro Cioffi non è stato iscritto nel registro degli indagati per la storia di Vassallo (né per i filoni paralleli relativi alla droga) e non risultava presente ad Acciaroli nel giorno in cui venne ammazzato il sindaco.

 

Ma torniamo al caso che lo tiene in cella. Rapporti deviati con Pasquale Fucito, secondo la Procura di Napoli, a sua volta testa di ponte a Caivano di un traffico internazionale di coca con il cartello di Kali. Agli atti spicca una frase dello stesso Cioffi, in riferimento al proprio gruppo di lavoro, quello che aveva il compito di bloccare le piazze di spaccio nel parco Verde: «Voi siete la squadra mia, che è una squadra che ho fatto io, non è che l'ha fatta un altro...». In forza a Castello di Cisterna dal 1991, Lazzaro ora è alle prese anche con le accuse di alcuni pentiti. Su di lui parla Andrea Lollo, che lo accusa di avergli fatto una soffiata per metterlo a riparo da un blitz che i suoi colleghi carabinieri stavano preparando: «Marcolino mi disse che io e un altro saremmo rientrati in un blitz». Tocca a Nunzio Montesano accusare il brigadiere, a proposito del presunto atteggiamento morbido riservato dalla squadra di Cioffi: «Tutte le piazze ne traevano beneficio (in relazione al parco verde di Caivano), grazie ai soldi che gli davamo». Decisivo a questo punto valutare se i pentiti possono avere ragioni di risentimento nei confronti del brigadiere in forza alla compagnia di Castello di Cisterna, dal lontano 1991. Ma c'è un altro retroscena che sta venendo fuori dalle carte dell'ultima inchiesta sul narcotraffico e riguarda ancora una volta il rapporto tra Cioffi e la famiglia di Pasquale Fucito. Soldi e favori in cambio di soffiate, secondo gli inquirenti, mentre sembra che lo stesso Cioffi abbia ospitato nella propria abitazione il figlio piccolo di Fucito. Un quadretto familiare che emerge dalla intercettazione di una conversazione tra i coniugi: «Questa mattina - dice Cioffi alla moglie - quell'altro scemo di Fabio, per giunta al telefono, mi ha chiesto se tenevo ancora il bambino lì (a casa)». Da altre telefonate, la conferma dell'ospitalità resa al figlio del narcos: «La gente non deve vedere con chi ce la facciamo», ripete l'uomo alla moglie. Difeso dall'avvocato Rocco Maria Spina, Fucito ieri mattina si è difeso nel corso dell'interrogatorio di garanzia, negando di aver dato soldi al militare in cambio di favori: «Solo un'amicizia tra mia moglie e la moglie di Cioffi, nessun altro interesse», ha chiarito. Scenario compromettente che ha travolto il brigadiere, mentre quattro suoi colleghi ora rischiano grosso.
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